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Un giovane su tre ha paura di fare figli. La ricerca di Magna Carta letta da Roccella

Quasi un giovane su tre ha paura di mettere al mondo un figlio in mancanza di una rete di supporto pubblica o privata. Le preoccupazioni economiche rappresentano uno dei fattori più significativi per cui i giovani decidono di non fare figli. Lo stesso vale per le limitazioni legate alla carriera e al tempo personale. Non solo. Fra i ragazzi tra i 17 e i 28 anni (ma anche oltre) i figli non si fanno per “convincimenti personali”. Sono alcuni dati della ricerca della fondazione Magna Carta, presentata l’altro giorno alla presenza della ministra Eugenia Roccella, della sottosegretaria Albano e del commissario al sisma 2016, Castelli

Quasi un giovane su tre ha paura di mettere al mondo un figlio in mancanza di una rete di supporto pubblica o privata. Le preoccupazioni economiche rappresentano uno dei fattori più significativi per cui i giovani decidono di non fare figli. Lo stesso vale per le limitazioni legate alla carriera e al tempo personale. Non solo. Fra i ragazzi tra i 17 e i 28 anni (ma anche oltre) i figli non si fanno per “convincimenti personali”.

Sono questi alcuni dei dati più significativi emersi dallo studio “Per una primavera demografica” promosso dalla fondazione Magna Carta, presieduta da Gaetano Quagliariello. Alla ricerca ha partecipato un campione di 1.072 persone, suddiviso tra giovani (17-28 anni) e adulti over 29. A questi si aggiungono i rappresentanti di alcune categorie specifiche: 400 insegnanti, 60 operatori sanitari e 70 psicologi.

La ricerca, come ha spiegato nel corso della presentazione all’hotel Bernini l’esponente del comitato scientifico di Magna Carta, capo progetto della ricerca, Anna Maria Parente, si articola in due parti. La prima ha indagato le motivazioni per cui non si fanno più figli, mentre la seconda ha approfondito le buone pratiche di welfare aziendale che le imprese mettono in campo per favorire la maternità.

Fra i partner del progetto, le aziende: Jointly, Engeneering, WellMakers by Bnp Paribas e Prysmian Group.

A suggellare la presentazione della ricerca della fondazione, le parole della ministra alla Famiglia, Eugenia Roccella che, oltre a rivendicare l’azione di governo, rimarca la necessità di “un grande lavoro culturale” che ancora va portato avanti sul tema della natalità.

“In Italia la questione demografica ci è sfuggita di mano – analizza il ministro – benché di dati a disposizione ne avessimo tanti, a partire dalla seconda metà degli anni ’70. Mentre la Francia è intervenuta tempestivamente, noi abbiamo drammaticamente calato l’attenzione sul tema della famiglia”. Anche perché, riconosce la titolare del dicastero con una punta volutamente polemica “in Italia quando si dice di voler fare qualcosa per la famiglia spesso si viene tacciati di essere fascisti”.

Accanto a questo, c’è una questione più prospettica, culturale appunto. “Occorre fare uno sforzo collettivo per tentare di invertire la rotta – dice Roccella – . Fino a qualche tempo fa si riteneva che ci fosse un rischio del boom demografico. Basta pensare alle politiche messe in atto dalla Cina. Ebbene, oggi ci si è accorti che non è così: per cui occorre invertire l’angolo di visuale. La natalità, in particolare dai giovani, deve essere intesa come un’opportunità”.

Parente, dopo aver messo in fila alcuni numeri sull’inverno demografico – uno su tutti, se la media europea è di 1,54 figli per donna in Italia il valore scende a 1,24 – lancia l’idea elaborata dalla fondazione all’esito dello studio. “Questa ricerca – scandisce l’ex senatrice – è la tappa di un percorso che vogliamo proseguire nei prossimi anni istituendo l’Osservatorio sulla crisi demografica. Uno strumento per condurre indagini sul campo coinvolgendo tutti i soggetti protagonisti di questa tematica”.

La panoramica offerta dall’ex presidente di Istat, Gian Carlo Blangiardo mette a fuoco alcune realtà a tinte piuttosto grigie che emergono dalla forza spietata dei numeri. “Nel 2023 – così Blangiardo – in 360 comuni italiani, non è nato neanche un bambini. Il 94% degli italiani vivono in realtà in cui il numero dei morti supera quello dei nati. E, complessivamente, l’Italia è l’unico Paese in Ue in cui tutti gli anni la curva demografica è costantemente in discesa. Questo pone, oltre a una serie di altri temi, anche quello dell’equilibrio del sistema complessivo del Paese. Una questione assimilabile alla transizione ecologica. Quella demografica è la questione”.

A porre l’accento sugli effetti della crisi demografica sui territori è il commissario straordinario al sisma del 2016, Guido Castelli. “C’è un aspetto della crisi demografica che spesso è trascurato, ma che è invece fondamentale – scandisce Castelli – ed è quello antropologico. In particolare nelle aree interne del Paese, il mancato presidio del territorio è pericolosissimo. Lo spopolamento sta raggiungendo percentuali molto preoccupanti. Ed è per questo che vanno incentivate le forme di partenariato tra realtà pubbliche e private”.

La sottosegretaria all’Economia, Lucia Albano, inquadra il tema sotto il profilo economico sottolineando che le misure messe in campo dall’esecutivo hanno una portata “mai vista prima”. “Negli ultimi due anni e mezzo di governo – spiega – abbiamo messo in campo oltre 2,5 miliardi di euro di investimenti diretti sulla famiglia, per un indotto complessivo di sedici miliardi. E tutto questo in Italia non si era mai visto”. D’altra parte, dice l’esponente di FdI, “questo governo ha messo in cima alle sue priorità la questione demografica, cercando di affrontarla in maniera sistematica attraverso interventi strutturali”.



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