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Il Parlamento Ue non è stravolto, ma la politica sì. Parla Martinelli (Milano-Bicocca)

Dopo il voto, i passi tecnici saranno la proclamazione degli eurodeputati e la formazione dei gruppi, dopodiché si passerà al lato più politico: la scelta di un nome per la presidenza della Commissione e a seguire tutti i commissari, che dovranno essere poi votati dal Parlamento Ue. Nel mezzo, un cambiamento del quadro politico inedito, le cui conseguenze non sono del tutto prevedibili. Conversazione con Claudio Martinelli, Università di Milano-Bicocca

Sarà una legislatura frizzante, piena di variabili e novità inedite quella che si apre dopo il voto per rinnovare il Parlamento europeo. Lo crede il professore di Diritto pubblico e comparato e Diritto parlamentare nell’Università di Milano-Bicocca Claudio Martinelli, che percorre con Formiche.net le tappe tecniche che seguono il voto per rinnovare il Parlamento Ue, ma senza dimenticare che al di là dei numeri ci sono altri equilibri che saranno fondamentali per la formazione della prossima Commissione europea, a partire dalla presidenza. A influire, chiaramente, le prossime elezioni francesi, quelle inglesi e il ruolo dell’Italia.

Professore, le urne si sono chiuse, cosa succede adesso?

Adesso succedono varie cose contemporaneamente. Da una parte questa grande istituzione, il Parlamento europeo, deve formare le sue articolazioni e cioè attende le proclamazioni degli eletti da parte degli Stati nazionali, ciascuno secondo le proprie procedure, dopodiché ci sarà la formazione dei gruppi parlamentari e poi finalmente ci sarà l’elezione del presidente del Parlamento europeo. Contemporaneamente a questi adempimenti di natura tecnico-istituzionale ci saranno una serie di contatti politici per, invece, la formazione dell’altro organo che deve essere rinnovato, e cioè la Commissione.

Come si articola la formazione della Commissione?

La prima cosa da fare sarà, per il Consiglio europeo – e cioè quel consesso in cui siedono i capi di Stato e di governo – trovare una accordo su un nome da proporre al Parlamento, e qui entra in gioco il tema degli spitzenkandidaten. I trattati dicono che il Consiglio europeo nel coagulare la volontà politica su una persona deve tenere conto dei risultati elettorali e questa è probabilmente una delle ragioni per cui sono tornate di grande attualità le quotazioni di Ursula von der Leyen.

Cosa intende?

Il Partito popolare europeo è stata la famiglia politica più votata e quindi ha più seggi al Parlamento e contemporaneamente lei è la spitzenkandidaten dei Popolari, quindi, stando alla logica delle norme europee, sia quelle dei trattati sia quelle specifiche volute dal Parlamento per gli spitzenkandidaten, il nome più probabile in questo momento sembra essere lei. Naturalmente questo è il momento della politica, quindi non c’è nulla di sicuro. In Consiglio europeo, infatti, potrebbero crearsi dei veti e contro veti tali per cui si possa decidere di andare su un altro nome.

Una volta deciso il nome, toccherà al Parlamento europeo. Anche lì potrebbero esserci sorprese?

Una volta che la proposta è stata formulata il Parlamento europeo discuterà quel nome e poi lo voterà a scrutinio segreto, e questo è un punto cruciale. Si può anche pensare di avere gli accordi politici con tutte le famiglie politiche, ma gli accordi avvengono sempre tra leader, a votare poi a scrutinio segreto sono i singoli parlamentari.

Quindi sì, potrebbero esserci sorprese…

Nonostante la sommatoria di Popolari, Socialisti e democratici e liberali sia dal punto di vista numerico ampiamente sopra la maggioranza assoluta che è 361, tutti insieme fanno più di 400, è anche vero che bisogna considerare che ogni parlamentare nello scrutinio segreto vota secondo variabili che non possono essere totalmente controllabili. Non per banalizzare, ma si può trattare anche di antipatie personali.

Eletto il presidente, cosa succede?

Una volta eletto il presidente della Commissione ci sarà tutta la procedura, che porterà via mesi, per la formazione dell’intera Commissione europea, compresi i singoli commissari. Qui il Parlamento sarà di nuovo protagonista perché avrà il compito di fare uno screening anche molto serrato, persona per persona, per vedere se le personalità proposte per i singoli dicasteri sono adeguate a ricoprire quel ruolo. Dentro questo insieme di passi per iniziare la legislatura è chiaro che si intrecciano elementi di natura giuridico-istituzionale con elementi politici molto forti.

Passiamo allora agli elementi politici, e alla novità che rappresenta la scelta francese di andare al voto. Come influenzerà la formazione della Commissione il voto per il Parlamento francese?

Lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale da parte di Macron con le conseguenti elezioni legislative è una variabile che, in questi termini, non era mai esistita. Inevitabilmente influiranno molto, anche perché stiamo parlando della Francia, non solo un Paese fondatore ma un Paese molto grande. E con buona pace di chi diceva che le elezioni europee non avrebbero cambiato nulla, ecco, abbiamo un caso inedito in cui gli equilibri politici interni di un Paese sono stati scardinati dalla elezioni al Parlamento Ue.

Tecnicamente che cosa cambia?

Noi conosceremo i risultati delle elezioni francesi la sera del 7 luglio, quando è fissato il secondo turno del ballottaggio. In quella data si possono immaginare due scenari: nel primo ammettiamo che funzioni ancora quella che loro chiamano la “cintura repubblicana”, cioè che lo spirito repubblicano da parte delle forze politiche tradizionali della Quinta repubblica faccia ancora da argine all’avanzata del partito fuori da questa tradizione, ossia il Rassemblement National, e che quindi la leadership di Macron possa essere riconfermata dal punto di vista politico. E questo è il primo scenario, anche se non so quanto probabile.

Il secondo?

L’altro scenario, che pare più probabile in questo momento se si tiene conto che ieri Marine Le Pen e Jordan Bardella (presidente del Fronte Nazionale, ndr) hanno cercato di stringere un accordo con con Éric Zemmour e la nipote di Le Pen, Marion Maréchal (entrambi del partito Reconquête, ndr), che porta un altro 7% di voti, ecco nel caso in cui ci fosse una maggioranza (relativa o assoluta) all’Assemblea Nazionale per il partito di RN si verificherebbe il cosiddetto quarto caso di coabitazione, cioè un Presidente della Repubblica di un colore politico e una maggioranza parlamentare di un altro colore politico. Solo che questa coabitazione presenterebbe una differenza fondamentale rispetto alle precedenti.

Quale?

Quelle precedenti sono state tutte coabitazioni tra leader e partiti della tradizione della Quinta repubblica, cioè Mitterrand socialista e Chirac gollista negli anni ’80, poi ’93-’95 Balladur come primo ministro sempre con Mitterrand Presidente della Repubblica, poi a cavallo tra la fine del novecento e il ventunesimo secolo la coabitazione tra Chirac Presidente della Repubblica e Jospin primo ministro socialista. Questa volta non avrebbe più queste caratteristiche, quindi dal punto di vista politologico un’incognita: una coabitazione tra un Presidente liberal-europeista e un primo ministro, probabilmente Bardella, di stampo nazional-sovranista. Questo scenario, chiaramente, non modificherebbe nulla nel numero di parlamentari europei eletti rispetto a oggi, però è ovvio che sarebbe un terremoto politico senza precedenti sia in Francia ma anche per gli equilibri di tutta l’Unione europea.

Si riferisce all’asse franco-tedesco?

Sì. Uno scenario simile minerebbe, se non addirittura cancellerebbe, quella struttura politica che è stata determinante per il processo di integrazione. E lo dico in termini neutri, a prescindere dal giudizio che si può dare storicamente di questo asse. Questa struttura, improvvisamente, verrebbe meno, e questo cambierebbe ovviamente gli equilibri anche a prescindere poi dall’accordo sul nome del presidente della Commissione, che spesso si raggiunge anche solo per far partire la legislatura. Le variabili, in Ue, sono tantissime così come le maggioranze che volta per volta si formano su specifici provvedimenti.

Non solo elezioni in Francia, ma anche in Gran Bretagna. Cambierà qualcosa?

In Gran Bretagna si chiude il ciclo politico dei Tory, che hanno caratterizzato questi ultimi 14 anni e dentro cui c’è stata la Brexit. Bisognerà vedere come il labour di Keir Starmer porterà avanti i rapporti con l’Ue. Non credo ci sarà nessun “back”, ma è possibile che si instauri un rapporto diverso, magari una partnership più di quanto non abbiano voluto i Tory nel momento del negoziato.

Di fronte a tutte queste incertezze, quali sono le sfide principali per l’Unione europea?

È probabile che dal punto di vista ragionieristico cambi poco, perché i rapporti di forza nell’emiciclo sono sì cambiati, ma non in modo radicale. Non c’è dubbio che sia cambiato il quadro politico di riferimento dentro cui questi numeri si collocano. I governi francese e tedesco escono con le ossa rotte, e gli equilibri politici si sono innegabilmente spostati anche in altri Paesi Ue. Allora, il rischio qual è? Se questa, come ho scritto più volte, era un’elezione di svolta in cui il corpo elettorale era chiamato a dare una risposta a questa domanda: volete proseguire e anzi accelerare il processo di integrazione europea che abbracci anche tematiche – per esempio la Difesa o l’immigrazione – che sono fuori dalle competenze specifiche dell’Unione o volete tornare verso una Ue dove il ruolo dei governi nazionali sia sempre più forte? A me pare che andando al di là della mera visione ragionieristica il corpo elettorale in buona misura si sia espresso per la seconda ipotesi. E se si è europeisti, questo è un rischio.

Il governo di Giorgia Meloni non è uscito indebolito da queste elezioni, anzi. Che ruolo può giocare, quindi, in questo quadro?

Credo che abbia in mano delle carte molto forti. Può svolgere un fortissimo ruolo riequilibratore perché può essere considerata una specie di cerniera tra una eventuale maggioranza von der Leyen e partiti che dovessero ancora continuare a rimanerne fuori, magari spaccando nel momento dell’elezione del presidente alcune famiglie europee. È possibile, è già successo, e in questo quadro il governo italiano ha in mano delle carte che danno alla presidente del Consiglio un fortissimo potere negoziale, dal punto di vista dell’acquisizione delle cariche sia dal punto di vista dell’indirizzo politico, da imprimere alla legislatura.


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