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Deficit e Patto di stabilità, la strada stretta dell’Italia secondo l’Upb

Presentata a San Macuto la relazione dell’Ufficio parlamentare di bilancio. Tra la procedura europea per il disavanzo e il ritorno delle regole fiscali, bisognerà lavorare di bilancino per trovare 10 miliardi all’anno, senza pregiudicare la gittata della manovra. Per fortuna, però, in Europa l’Italia cresce più di tanti altri

Alla stesura della manovra, la terza targata Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti (la prima fu scritta insieme a Mario Draghi, nel 2022) mancano ancora tre mesi scarsi. Ma per l’Italia è già tempo di fare i primi conti e capire la gittata della prossima finanziaria. Nel giorno in cui su Roma, come ampiamente previsto (qui l’intervista all’economista Daniel Gros) è piovuta la procedura di infrazione per deficit eccessivo, l’Ufficio parlamentare di bilancio, l’organismo di vigilanza sui conti italiani, ha presentato la sua relazione nella sala del Refettorio a Palazzo San Macuto. Alla presenza proprio di Giorgetti, l’uomo che si sta battendo per raddrizzare i conti italiani messi a soqquadro dal superbonus, le cui scorie sono ancora tutte da smaltire.

Premessa. Che ci sia o meno un percorso dettagliato di riduzione degli squilibri macroeconomici conta poco. Le regole del Patto di stabilità, che tornerà in vigore dal prossimo anno, così come riformato contengono infatti già parametri e obiettivi di aggiustamento. Per questo la procedura che è finita sul tavolo dell’Eurogruppo, in programma il 20 giugno, non prevederà immediate richieste di correzione. Non ci saranno, in sostanza, le indicazioni su cosa e quanto fare. Il percorso di correzione è rimesso ad un secondo momento, a settembre, quando i governi saranno chiamati a notificare a Bruxelles le strategie nazionali per la correzione dei conti pubblici. O addirittura a novembre, momento del pacchetto che segna l’avvio del nuovo ciclo di coordinamento delle politiche economiche.

Detto questo, è molto probabile che nei prossimi mesi da Bruxelles arriverà per l’Italia la richiesta di una correzione da 10-11 miliardi all’anno. Soldi che spunteranno le armi alla prossima manovra e che bisognerà reperire attraverso le tradizionali operazioni di chirurgia contabile, su tasse, bonus e agevolazioni fiscali varie. Una strada quasi obbligata, viste le incognite legate alla crescita, prevista all’1% nel 2024 e alla fiducia dei mercati. La prima è appesa all’andamento dei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente e alla messa a terra degli investimenti legati al Pnrr. I secondi, che garantiscono all’Italia ogni anno la possibilità di spendere oltre 350 miliardi, si sono finora dimostrati benevoli e sereni verso il governo, anche se negli ultimi giorni i rendimenti sul decennale si sono portati nuovamente in area 4%.

Per questo nella sua relazione, l’Ufficio parlamentare ha chiarito che “per rispettare le nuove regole europee del Patto di stabilità l’Italia dovrà attuare un aggiustamento del disavanzo stimato in 0,5-0,6 punti percentuali di pil l’anno per sette anni”. Tuttavia, “a legislazione vigente l’andamento del deficit in rapporto al pil presentato nel Def appare coerente con la nuova governance. Questo significa che per prorogare misure come la decontribuzione, la rimodulazione delle aliquote Irpef e le cosiddette politiche invariate il governo non potrà fare affidamento sulla flessibilità del deficit ma dovrà individuare idonee coperture. Sarà poi necessario, anche dopo la fine del Pnrr mantenere un livello di investimenti pubblici elevato per favorire la crescita”.

Allo stesso tempo “il previsto aumento dei costi legati alla transizione demografica e quelli, più incerti ma potenzialmente elevati, per far fronte alle transizioni energetica e climatica, imporrano verosimilmente tagli alle altre componenti del bilancio. Tagli alla pressione fiscale imporrebbero ulteriori riduzioni o tagli dei programmi di spesa. Per evitare questo, la riforma fiscale dovrà trovare finanziamento all`interno del sistema fiscale stesso”. Tradotto, per abbassare le tasse portanti del bilancio pubblico, bisognerà rimettere mano ad altre agevolazioni, se proprio non si vuole intaccare la spesa.

Discorso che porta dritto alla prossima manovra, che dovrà tenere necessariamente conto del doppio aggiustamento sul disavanzo: quello imposto dal Patto e quello chiesto dall’Ue nella procedura sul deficit. Per questo per l’Upb la legge di Bilancio potrebbe aggirarsi sui 20 miliardi di euro. “Per il 2025 si profila una manovra da almeno 20 miliardi, se il governo intende confermare il taglio del cuneo fiscale, l’irpef a tre aliquote e gli interventi compresi nelle cosiddette politiche invariate, che comprendono tra gli altri il rinnovo dei contratti di lavoro della Pubblica amministrazione e il rifinanziamento delle missioni internazionali”. Almeno 20 miliardi sono quindi le risorse che il governo deve reperire, non potendo fare affidamento sulla possibilità di aumentare il deficit, come avvenuto negli anni passati.

“A legislazione vigente, quindi senza considerare la proroga nel di questi interventi previsti per il solo anno in corso, il deficit diminuirebbe dal 4,3% del pil previsto per il 2024 al 3,7% nel 2025, per poi scendere al 3% nel 2026 e al 2,2% nel 2027”. Di fatto sarebbe attuata in automatico la correzione richiesta dalle nuove regole del Patto di stabilità. Ma, come detto, non ci sarebbero le proroghe delle misure che invece il governo vuole rinnovare. Per fare un esempio, la conferma del taglio del cuneo fiscale nella versione oggi in vigore comporta una spesa di circa 10,6 miliardi a cui vanno aggiunti più di 4 miliardi per confermare l’intervento sulle aliquote Irpef. Se si aggiungono almeno ulteriori 5 miliardi per i diversi interventi delle politiche invariate si arriva ad una cifra che ha un impatto complessivo sull’indebitamento netto anche superiore ai 20 miliardi.

Insomma, bisognerà fare attenzione sui conti. Per fortuna, come ha chiarito il Commissario europeo Paolo Gentiloni, intervenuto per videomessaggio, l’Italia è su una buona strada in termini di crescita, seppur con tutte le incognite poc’anzi citate. In Europa “nel primo trimestre di quest’anno il Pil è cresciuto dello 0,3% con risultati superiori alle attese nelle principali economie tra cui l’Italia”. Gentiloni ha rilevato che “per Italia la ripresa dopo la pandemia è stata superiore rispetto alla media della zona euro tra il 2019 e 2023 il Pil è cresciuto del 3,5% mentre per quest’anno e il prossimo la crescita dovrebbe attestarsi intorno alla media europea con lo 0,9% nel 2024 e leggermente al di sotto all’1,1% nel 2025”.

Ottimista, come sempre, anche Giorgetti. “Nel corso degli ultimi anni, l`economia italiana ha mostrato un`ottima tenuta, in un contesto globale instabile e incerto, con andamenti macroeconomici nel complesso positivi, particolarmente in termini di occupazione. Il governo è ben consapevole che, nel contesto in cui ci troviamo, è necessario mantenere un approccio responsabile nella programmazione e nella gestione della politica di bilancio. Una linea, questa che abbiamo tenuto, con una coerenza che i nostri partner in Europa e i mercati ci riconoscono”.

Il titolare del Mef ha poi smorzato i toni sulla procedura per deficit, definita “una notizia ampiamente prevista d’altronde con il boom di deficit indotto con le misure eccezionali non potevamo certo pensare di stare sotto il 3%. Abbiamo un percorso che abbiamo avviato con l’inizio dell’attività del governo di responsabilità e di finanza pubblica sostenibile che è apprezzato dal mercato e dalle istituzioni europee e andremo avanti ti così. Quindi non è niente di sorprendente”.



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