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Von der Leyen vince in Ue, ma Meloni non perde. Gli scenari di Castellani

In vista del Consiglio europeo, Meloni riferisce alla Camera e al Senato ma pare piuttosto innervosita dai risultati dei doppi turni in alcune città importanti e, soprattutto, da come si stanno svolgendo le trattative a livello europeo. La tecnica del “muso duro” le serve per alzare la posta: l’obiettivo è ottenere o la vicepresidenza della Commissione o un Commissario di peso. Sostenendo Ursula, al di fuori della maggioranza, può diventare determinante. Ma serve pazienza. Colloquio con il politologo Lorenzo Castellani

L’aggettivo che Lorenzo Castellani, politologo della Luiss e docente di Storia delle istituzioni politiche sceglie per descrivere la premier Giorgia Meloni – che in mattinata ha riferito alla Camera e nel pomeriggio al Senato in vista della due giorni di Consiglio europeo – è “innervosita”. I temi trattati sono tanti e trasversali, ma è chiaro ed evidente che a pesare sull’umore della presidente del Consiglio sono due macigni: “I risultati dei doppi turni in alcune città importanti e le trattative sulle nomine a livello europeo”.

Partiamo dalle comunicazioni di questa mattina. Che quadro emerge?

Benché alcuni dei risultati ai ballottaggi fossero in qualche modo prevedibili, è chiaro che il centrodestra ne esce indebolito. Meloni questo lo sa ed è per questo che è parsa piuttosto innervosita. Ma non è solo un risultato da osservare con le lenti dell’oggi ma in prospettiva perché potrebbe cambiare le carte in tavola su uno degli investimenti politici più importanti che ha fatto questo governo.

A cosa si riferisce nello specifico?

Alle riforme istituzionali e, in particolare, al premierato. Dal momento che il sistema a doppio turno parrebbe essere il più “papabile” per l’assegnazione del premio di maggioranza, Meloni rischia di mettere a punto una riforma – il premierato – che agevolerebbe la minoranza, paradossalmente. Essendo, infatti, la sinistra più capace di mobilitare l’elettorato rispetto al centrodestra.

Sotto il profilo economico, Meloni ha rivendicato l’azione di governo benché il quadro di contesto non sia dei migliori. 

Non poteva fare altrimenti, anche per rafforzare alcune scelte di spesa che l’esecutivo dovrà fare orientando le risorse più su ambiti come quello della Difesa a detrimento, ad esempio, del welfare. A ogni modo c’è consapevolezza che si va verso un restringimento complessivo dei cordoni della borsa.

Arriviamo alla trattativa europea. Che scenario si sta profilando, al di là dei retroscena più o meno attendibili?

È chiaro che Scholz e Macron abbiano sposato la strategia dell’arrocco. La loro volontà, da subito – e qui si spiega anche la “fretta” con cui pensavano di chiudere le trattative – è stata quella di escludere Meloni dai negoziati per le nomine. E questo, politicamente e mediaticamente, ha fatto passare l’Italia come Paese isolato.

Non è così secondo lei?

Potrebbe apparire, ma nel lungo termine c’è un rischio molto evidente per l’asse franco-tedesco e più in generale per la coalizione che esprime la maggioranza al Parlamento. Tenere fuori un capo di governo dalla sfera decisione rischia di precludere qualsiasi decisione politica, che si prendono nel Consiglio. E tra l’altro, di qui in avanti, il fronte nazionalista-conservatore dei capi di governo, è destinato a infoltirsi. Per cui, fossi in Macron e Scholz – entrambi peraltro piuttosto indeboliti in termini di leadership – ci penserei due volte prima di escludere Meloni.

Che carte ha, dunque, in mano Meloni?

La tattica del muso duro è chiaramente funzionale ad alzare il tiro a Bruxelles, anche se penso che le trattative non si esauriranno a strettissimo giro. Deve avere pazienza. Se riuscirà a ottenere o la vicepresidenza della Commissione o un buon commissario e i suoi parlamentari sosterranno von der Leyen alla presidenza, il suo schema tutto sommato andrà in porto.

Al momento, possiamo dire che l’unica a uscirne vincitrice sia proprio Ursula?

Lei è la candidatura perfetta per i leader che vogliono chiudere la trattativa in fretta e che vogliono rimarcare la loro autosufficienza politica. Non solo. Ursula è l’unica che potrà sperare di ottenere qualche voto di sostegno al di fuori della compagine di maggioranza. Ecco perché esce vincente.

La carta Draghi, a questo punto, sfuma definitivamente?

Draghi è stato bruciato dai francesi. O meglio, da Macron. Lanciando il nome dell’ex premier in maniera del tutto intempestiva – probabilmente per dar fastidio ai socialisti e a von der Leyen stessa – l’inquilino dell’Eliseo ha azzerato le possibilità per Draghi in Ue.

Dunque l’Italia non appare così isolata come sembrerebbe in Europa?

Paradossalmente, soffriamo un isolamento determinato dal fatto che, politicamente, l’Italia è un ciclo più avanti. Intendo dire che noi abbiamo già una destra di governo, che ha dimostrato di saper fare, superando anche alcune incrostazioni del passato. Francia e Germania, tutto questo, non l’hanno ancora avuto. Con tutto ciò che ne consegue in termini di tensioni nei rapporti fra i leader.



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