Skip to main content

Anche la Germania si è convinta. Il governo pronto a vietare Huawei e Zte

Il ministero dell’Interno e le aziende della telecomunicazione avrebbero raggiunto un accordo che, in cinque anni, dovrebbe portare alla totale eliminazione della tecnologia cinese. Il motivo è salvaguardare l’infrastruttura nazionale del 5G. Le pressioni degli Stati Uniti e dell’Unione europea sembrano aver dato i loro frutti

Alla fine il pressing ha dato i suoi frutti. Erano anni che gli Stati Uniti chiedevano alla Germania di slegarsi dalla tecnologia cinese, considerata una minaccia per la sicurezza nazionale. E per altrettanto tempo Berlino ha resistito. Fino a oggi. I maggiori operatori delle telecomunicazioni si sarebbero accordati con il governo promettendo di rimuovere i componenti realizzati da Huawei e Zte che hanno acquistato entro il 2026. Da qui al 2029, invece, provvederanno a eliminare quelli presenti dalle Radio Access Network, la parte di una rete mobile più sensibile che collega i dispositivi degli utenti al cloud. Mancando ancora l’ufficialità dell’accordo alcuni dettagli potrebbero venire rivisti, ma il nodo della questione rimane.

Come sottolinea WDR, primo a riferire dell’incontro tra esponenti del ministero dell’Interno e aziende del settore, già da tempo la Deutsche Telekom, Vodafone e Telefónica avevano cominciato a slegarsi dalla tecnologia cinese. Anzi, la prima afferma di non aver adottato alcun prodotto di Huawei. Rispetto ai piani iniziali, le scadenze erano molto più brevi se confrontate con quelle concordate: entro due anni a partire da oggi il divieto sarebbe diventato effettivo. Saranno invece cinque, per dare periodo di transizione più lungo così come richiesto dalle società.

Poco cambia per le autorità del governo, ormai convinte dell’importanza di salvaguardare le connessioni 5G. Il ministero dell’Interno lo considera come “il sistema nervoso” del paese, il motore della sua economia, per cui è meglio non incorrere in rischi di sicurezza per la sua infrastruttura.

La ragione non è tanto quella di venire spiati dalla Cina, che potrebbe entrare in possesso di informazioni sensibili, quanto piuttosto dello strapotere di mercato che avrebbe la sua azienda. Huawei dovrebbe controllare il 60% circa della rete 5G tedesca: tanto, per non dire troppo, in confronto al 41% della Gran Bretagna o al 17% della Francia – senza parlare di chi non le ha proprio, come Lettonia, Lituania ed Estonia.

La discussione se fosse giusto o meno imporre il divieto è andata avanti per anni, partita durante il cancellierato di Angela Merkel. La questione è sempre stata rimandata, anche perché i costi per privarsi del gigante tecnologico non erano banali (400 milioni di euro solo per la Deutsche Bahn, azienda statale nel settore ferroviario, i cui progetti avrebbero subito ritardi di alcuni anni). Nel frattempo si sono prese delle misure di precauzione, come l’IT Security Act e il 5G Security Toolbox europeo. Ma serviva un passo ulteriore, più netto e deciso, come richiesto numerose volte dagli americani e gli europei.

Il rapporto tra Germania e Cina rimane però difficile da scardinare. È il paese europeo che ha contatti commerciali più stretti con il Dragone e il timore era quello di subire ritorsioni da Pechino. Ancora adesso che la convinzione si è fatta più forte, il governo tedesco non vuole disinvestire del tutto lasciando crollare l’interscambio, ma diversificare le sue fonti – molto similmente a quanto successo con l’energia russa.

Ora si aspettano conferme ufficiali, ma negli Stati Uniti e in Europa c’è sicuramente felicità per aver convinto la Germania a instradarsi lungo una strada comune, sebbene secondo Politico i tempi lunghi previsti dall’accordo sono l’ennesima dimostrazione di un trattamento soft da parte di Berlino.

Esattamente un anno fa il governo di Olaf Scholz – tra i più attivi con la Cina, come dimostra una sua recente visita al presidente Xi Jinping e la decisione di lasciar entrare il colosso cinese Cosco nelle quote di partecipazione del porto di Amburgo – aveva pubblicato la sua strategia di contenimento della superpotenza asiatica. In quel documento di 64 pagine – considerato da molti come vago – si insinuava il dubbio che, oltre a essere un partner commerciale, Pechino poteva essere considerata una rivale. “La Cina è cambiata, quindi anche la nostra politica deve cambiare”, affermava al tempo la ministra degli Esteri, Annalena Baerbock. “Non vogliamo separarci, ma ridurre il più possibile i rischi”. Niente de-coupling ma de-risking, dunque. Con la decisione di bannare Huawei, però, per le relazioni sino-tedesche si apre un nuovo capitolo.


×

Iscriviti alla newsletter