“È una vicenda che, al di là della follia del singolo di cui sappiamo comunque molto poco, incarna la radicalizzazione e la polarizzazione politica negli Stati Uniti, che nell’ultimo ventennio si è molto intensificata e che spiega molte dinamiche politico-elettorali all’interno del Paese”. Conversazione con Lorenzo Pregliasco, direttore e co-fondatore dell’agenzia Youtrend
Un attentato ad un esponente politico è sempre un avvenimento di peso all’interno del contesto politico di ogni Paese. Ancora di più se questo Paese è in campagna elettorale. E ancora di più se ad essere bersaglio dell’atto violento è una figura come quella di Donald Trump. Per cercare di fare chiarezza sulle conseguenze del tentato omicidio avvenuto in Pennsylvania ai danni del tycoon, Formiche.net ha raggiunto Lorenzo Pregliasco, direttore e co-fondatore dell’agenzia Youtrend.
I fatti avvenuti poche ore fa negli Stati Uniti peseranno sicuramente nella competizione elettorale. Ma come?
L’attentato a Donald Trump è sicuramente un evento che impatta sulla campagna elettorale, poiché è una delle poche notizie relative al mondo della politica che sono arrivate a tutti, superando quel filtro di disinteresse, di distanza e di disaffezione nel quale restano intrappolate tante notizie minori, che agli appassionati e agli addetti ai lavori sembrano fondamentali, ma che in realtà l’elettore medio si perde. Questo invece, come dicevo, è qualcosa che è arrivato a tutti, come e anche più del dibattito di qualche settimana fa. Il che ci dà l’idea dell’elemento di forza della notizia. Ma non è l’unico aspetto.
A cosa fa riferimento?
Un’altra cosa da notare su questo avvenimento è che esso riporta Trump al centro della campagna elettorale, dopo che nelle ultime settimane, in seguito all’ultimo dibattito, la scena di quest’ultima era stata dominata da Joe Biden, e in particolare dagli interrogativi su di lui e sulla sua candidatura, con annesso lo stillicidio di retroscena e di appelli su un suo possibile ritiro. Questa vicenda scombussola tutto, riportando al centro Trump. Peraltro proprio alla vigilia della convention repubblicana, che è sempre un momento nel quale l’attenzione mediatica e quella degli elettori si concentra su una metà del campo. Trump torna davanti in termini di visibilità. Dopo che quest’ultimo, intelligentemente, aveva deciso di rimanere in disparte durante gli ultimi giorni, lasciando che fosse lo stesso Partito Democratico a portare avanti, in un certo senso, la campagna elettorale a suo favore.
Quali saranno secondo lei le conseguenze?
Credo sia superfluo dire che nessuno ha una risposta, e che le letture che vengono proposte, secondo le quali la partita sia già decisa e a questo punto l’unico esito possibile è la vittoria di Trump, sono letture superficiali. In generale, quando accadono cose di questa portata si ha un po’ la tendenza a enfatizzarle, ad esaltarne le conseguenze, a pensare che niente sarà più come prima. È chiaro che è un evento di rilievo, anche in termini di immaginario. Anche perché l’eroe del popolo repubblicano, e in particolare di una comunità molto discussa ma anche molto motivata come la sua, che viene colpito da un attentato, e che “sfida la violenza” nell’immaginario collettivo, è qualcosa che ha una forte potenza narrativa ed educativa. Ed è chiaro che una situazione di questo tipo rende anche più difficile attaccarlo. Non a caso il comitato Biden ha annunciato la sospensione degli spot nell’immediato futuro, ma al di là di questo singolo dettaglio, è un avvenimento che rende più complicato il compito di chi avrebbe dovuto dire agli americani che Trump è un pericolo e una minaccia per la democrazia, poiché è lui che in questo momento è una vittima di un tentativo di violenza. Quindi da questo punto di vista viene favorito.
D’altra parte aggiungo un altro elemento. Questa è una campagna nella quale fino a ieri avevamo un favorito, ovvero lo stesso Trump, anche se devo dire nel quadro di una certa incertezza, anche perché se si andava a guardare l’entità dello scarto nei sondaggi, potevamo vedere un sostanziale testa a testa in quegli Stati che si considerano decisivi. Dunque uno scenario in cui si può sì dire che Trump fosse favorito, ma all’interno di una partita tutt’altro che chiusa. E in questa situazione, ogni cosa che non aiuta Biden avvicina Trump alla vittoria. Ogni cosa che non ribalta la situazione e non rovescia la conversazione pubblica, spinge verso l’inerzia. Anche se non avesse avuto un impatto direttamente favorevole a Trump, comunque sarebbe stato un altro avvenimento non di aiuto per Biden. Che in questa fase avrebbe bisogno di altro.
Si vede già un effetto sulle intenzioni di voto degli americani?
Ovviamente non ci sono sondaggi affidabili che possono essere realizzati in così poco tempo, ci vorrà qualche giorno per vedere eventuali impatti sulle intenzioni di voto. E questi eventuali impatti potrebbero essere comunque temporanei, espressione di una solidarietà o di un orgoglio ritrovato in una quota di elettori trumpiani che potrebbe non durare da qui a novembre. Quindi, anche quando usciranno, i sondaggi andranno presi comunque con le pinze.
Possiamo trovare parallelismi nel passato?
Sì e no. Ci sono precedenti storici. Uno potrebbe pensare a quanto avvenuto a Reagan, che però era lontano dalla campagna elettorale al momento dell’attentato. Quindi non direi che ci sono situazioni strettamente paragonabili a questa all’interno della storia americana. Naturalmente è una vicenda che, al di là della follia del singolo di cui sappiamo comunque molto poco, incarna la radicalizzazione e la polarizzazione politica negli Stati Uniti, che nell’ultimo ventennio si è molto intensificata e che spiega molte dinamiche politico-elettorali all’interno del Paese.