Sottovalutare l’America, e l’uso della religione che da quel potere spossato e tremebondo può scaturire, è impossibile. Cosa potrebbe cambiare con l’approccio alla religione di Trump e Vance? La riflessione di Riccardo Cristiano
Una parentesi che si sta per chiudere? Temerlo è lecito e l’uscita di scena di Joe Biden potrebbe indicarlo, con ampio margine di attendibilità. Con lui infatti esce di scena il cattolicesimo conciliare e si affaccia prepotente la nuova religiosità, identitaria, malata, del vecchio Occidente suprematista. Ne è una perfetta sintesi e rappresentazione il rabbioso vice di Trump, Vance. Con la sua barba e i suoi toni vendicativi, rancorosi, porta in piazza il cattolicesimo Maga, alleato di Trump, dei vescovi americani, quelli che non hanno mai proferito parola sul tentato golpe del 6 gennaio, degli evangelici, del loro rozzo anti femminismo, nostalgico della famiglia patriarcale e della donna ai fornelli. È una religiosità intrisa del nuovo Vangelo, quello della prosperità. Se sei povero vuol dire che Dio non ti ama. È il Vangelo Maga, born in the Usa. I miracoli sono possibili perché la fede può trasformare la vita, da poveri farci diventare ricchi, se noi crediamo profondamente. Come Vance. Lui ne è un esempio concreto, visibile: ha creduto ed è diventato il candidato alla vice-presidenza.
Chi non ha capito perché Trump abbia detto che lo ha salvato Dio in persona farebbe bene a riflettere, a leggere quale ruolo si riservi a Dio in questa idea di fede: lui è il fattorino cosmico (cosmic bellhop) che si occupa dei bisogni e dei desideri delle sue creature. In un saggio che andrebbe assolutamente riletto oggi, per capire l’America e le sue sfide, ed evitare molesti paragoni tra Vance e Lincoln, padre Antonio Sapadaro e il pastore Marcelo Figeroa hanno scritto (anni fa): “Kenneth Copeland ha scritto, nel suo libro Le leggi della prosperità, che, poiché il patto di Dio è stato stabilito e la prosperità è tra i lasciti di tale patto, il credente deve prendere coscienza del fatto che la prosperità adesso gli appartiene di diritto. In queste teologie, l’appartenenza filiale dei cristiani in quanto figli di Dio viene reinterpretata come quella dei ‘figli del Re’: figliolanza che dà diritti e privilegi monarchici soprattutto materiali a coloro che la riconoscono e la proclamano. Harold Hill, nel suo libro Come essere un vincitore, ha scritto: I figli del Re hanno diritto a ricevere un trattamento speciale, perché godono di una relazione speciale viva, di prima mano, con il loro Padre celeste, che ha fatto tutte le cose e continua a esserne Signore”. C’è da uscire con i capelli dritti sulla testa a pensare cosa possa essere la religione in mano ai profeti Maga, cioè alla coppia Trump-Vance, i signori del Make America Great Again.
Sottovalutare l’America, e l’uso della religione che da quel potere spossato e tremebondo può scaturire, è impossibile. In un altro articolo dedicato allo stesso argomento Spadaro e Figueroa ci avvertivano per tempo, scrivendo: “Il pastore Rousas John Rushdoony (1916-2001) è il padre del cosiddetto ‘ricostruzionismo cristiano’ (o ‘teologia dominionista’), che grande impatto ha avuto nella visione teopolitica del fondamentalismo cristiano. Essa è la dottrina che alimenta organizzazioni e networks politici come il Council for National Policy e il pensiero dei loro esponenti quali Steve Bannon, chief strategist della Casa Bianca e sostenitore di una geopolitica apocalittica. ‘La prima cosa che dobbiamo fare è dare voce alle nostre Chiese’, dicono alcuni. Il reale significato di questo genere di espressioni è che ci si attende la possibilità di influire nella sfera politica, parlamentare, giuridica ed educativa, per sottoporre le norme pubbliche alla morale religiosa. La dottrina di Rushdoony, infatti, sostiene la necessità teocratica di sottomettere lo Stato alla Bibbia, con una logica non diversa da quella che ispira il fondamentalismo islamico. In fondo, la narrativa del terrore che alimenta l’immaginario degli jihadisti e dei neo-crociati si abbevera a fonti non troppo distanti tra loro. Non si deve dimenticare che la teopolitica propagandata dall’Isis si fonda sul medesimo culto di un’apocalisse da affrettare quanto prima possibile. E dunque non è un caso che George W. Bush sia stato riconosciuto come un ‘grande crociato’ proprio da Osama bin Laden”.
È il caso di ricordare che, recentemente, il massimo funzionario dell’istruzione dell’Oklahoma ha ordinato alle scuole pubbliche di incorporare la Bibbia nelle lezioni dalla quinta alla dodicesima classe. Non può certo consolare, anzi deve allarmare che nello Utah la Bibbia sia stata proibita a scuola, quelle elementari in questo caso, perché volgare e violenta. Se la fede diviene argomento di battaglia politica non c’è certo da rallegrarsi. Ma l’esito potrebbe essere scritto visto il sentiero che la politica americana sta imboccando. E Vance, purtroppo, è il simbolo dell’annessione a questa battaglia di un’ampia parte del mondo cattolico.
Il cattolico conciliare Joe Biden sarà stato anche un “vecchio rimbambito”, ma ha garantito per una vita e da ultimo in questo triennio che questa deriva venisse contenuta. Ora? L’interrogativo è importante perché Joe sembra non avere eredi in un partito sempre più incline a radicalismi e liberismi che spostano verso il settore integralista frange importanti di elettorato cattolico. Per i nuovi cattolici la dottrina sociale della Chiesa non ha più valore. La tradizione qui può essere calpestata, dimenticata. Non conta proprio nulla. È il Dio delle armi, della rabbia, della vendetta quello che emerge vincitore dalla rappresentazione alla Vance. Ha scritto il teologo Marcello Neri: “Se si legge, anche solo superficialmente, il testo della Heritage Foundation ‘Mandate for Leadership. The Conservative Promise – Project 2025’ ci si rende rapidamente conto non solo la presa di distanza della Chiesa americana dall’attuale pontefice, ma anche il suo congedo dalla dottrina sociale della Chiesa cattolica nel suo complesso. Fatto, questo, che palesa un uso discrezionale dello stesso concetto teologico di tradizione, che viene eretto a bastione della verità cattolica in termini selettivi e funzionali a scopi che, molto spesso, hanno ben poco a che fare con l’annuncio del Vangelo. La scelta di Biden ha messo a nudo un cattolicesimo che, nella sua maggioranza (soprattutto tra le generazioni più giovani) e in gran parte del corpo episcopale, ha scelto la via di un isolazionismo provinciale – in questo, specchio di un’America che pensa di poter essere grande solo se si prende cura esclusiva di sé”.
Potrà sembrare un consiglio stupido, o elementare, ma consegnare Dio al nemico non è scelta felice per chi voglia vincere, o salvare il proprio Paese da un integralismo fanatico.