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Cambio di casacca. Così Mosca punta al riposizionamento in Sudan

Il Cremlino punta sulla diplomazia istituzionale per sostenere la fazione legittimista nel conflitto in Sudan, abbandonando le Rapid Support Forces. A spingere in questa direzione sono fattori diplomatici e interessi strategici

In Sudan, il Cremlino sta perseguendo un riposizionamento strategico della sua politica estera, spostando il proprio sostegno dall’una all’altra delle fazioni coinvolte nella guerra civile che affligge il Paese. Fino a questo momento Mosca aveva scelto di sostenere la milizia nota come “Rapid Support Forces”, sotto la guida del generale Muhammad Hamdan Dagalo (noto come“Hemedti”), con la quale il Cremlino aveva intessuto dei rapporti di collaborazione grazie alla compagnia militare privata Wagner, rapporti declinati sia in forma indiretta (organizzazione logistica, pianificazione, addestramento) che in forma diretta, tramite l’afflusso di convogli di armi e materiali di vario genere. Contemporaneamente, però, l’apparato diplomatico statale russo ha mantenuto canali aperti con le Forze Armate Sudanesi e il governo del Consiglio di Sovranità Transitorio, che rappresentano gli avversari di Dagalo e delle sue Rsf. E adesso sembra che Mosca stia sfruttando queste aperture.

Alla fine di aprile, il vice-ministro degli Esteri russo Mikhail Bogdanov si è recato in visita diplomatica per due giorni a Port Sudan, durante la quale ha offerto alle forze armate regolari sudanesi “aiuti militari qualitativi senza restrizioni”. Bogdanov ha poi chiarito che la Russia riconosce il Consiglio di Sovranità Transitorio come legittimo rappresentante del popolo sudanese. Secondo alcune fonti la Russia avrebbe accettato di interrompere l’assistenza alle Rapid Support Forces, ma in cambio il governo e le forze armate sudanesi si sarebbero impegnati ad abbandonare la cooperazione militare con gli ucraini. Già da mesi Kyiv si è infatti mossa per sostenere la fazione “legittimista” nella guerra civile, in ottica di contrasto agli interessi dei Mosca che sarebbero stati perorati dalle Rapid Support Forces, dispiegando agenti dell’unità “Timur” della Direzione principale dell’intelligence ucraina in territorio sudanese con il compito di condurre attacchi ai danni delle Rsf e del gruppo Wagner.

Ma dietro all’interesse di Mosca nel modificare il proprio posizionamento diplomatico ci sono anche altri fattori da considerare. In primis uno di carattere puramente geostrategico: l’accesso al porto di Port Sudan. Le mire del Cremlino nei confronti delle infrastrutture portuali della città sudanese sono tutt’altro che recenti, e anzi risalgono ai tempi della dittatura di Omar al-Bashir.

Già dal 2019, Mosca ha avviato trattative con il Sudan per la creazione di una base navale russa nel Mar Rosso, proprio nei pressi di Port Sudan, in grado di ospitare fino a quattro navi alla volta, comprese quelle dotate di una centrale nucleare. Tuttavia, i progressi in questo senso sono stati bloccati a causa dell’assenza di un Parlamento o di un altro organo legislativo in Sudan in grado di ratificare l’accordo. Spostando il suo peso dalla parte dei “legittimisti”, che al momento controllano la porzione di territorio in questione, la Federazione Russa potrebbe ottenere concessioni in questo ambito.

Vi è però anche un altro fattore di carattere diplomatico da inserire nel computo, ed è il rapporto con Teheran. Fin dall’inizio l’Iran degli Ayatollah ha infatti preso le parti dell’esercito regolare sudanese, rifornendolo di droni da impiegare sul campo di battaglia. Dietro questo sostegno vi sarebbe l’interesse di Teheran nel ricostituire i legami con il Paese africano, locato in una posizione strategica: il Sudan si trova infatti sulla costa del Mar Rosso antistante allo Yemen, dove opera il gruppo Ansar Allah (denominazione formale degli Houthi). Portare il Sudan nella sua orbita garantirebbe dunque all’Iran un controllo ancora più saldo sul bacino del Mar Rosso. Schierandosi a favore della fazione legittimista, Mosca si riallineerebbe con il proprio partner. Non a caso, Bogdanov aveva incontrato il vice-primo ministro iraniano Ali Bagheri Kani due giorni prima dell’arrivo in terra sudanese.

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