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Quel canale sul fiume Amu Darya che preoccupa Mosca e Pechino

Il canale Qosh Tepa potrebbe causare tensioni in alcuni stati dell’Asia centrale, a scapito dell’influenza nell’area di attori di rilievo come Russia e Pechino. Anche se per motivi diversi

Nell’Asia centrale, il processo di desertificazione è una tematica di primaria importanza. Lo sa bene l’Afghanistan a guida Talebana, che proprio per cercare di rallentare questo fenomeno sta portando avanti la costruzione del canale Qosh Tepa, canale atto a deviare l’acqua del fiume Amu Darya che scorre nei Paesi vicini al fine di rallentare la desertificazione del proprio territorio e la minaccia di fame per la popolazione.

Il progetto è stato lanciato nel 2022 con l’obiettivo prefissato di completarlo entro il 2028; ma già da ora sta avendo un impatto sui Paesi della regione, dal Turkmenistan e dall’Uzbekistan fino al Kazakistan, al Kirghizistan e al Tagikistan. Quest’ultimo Paese è quello a subire le conseguenze maggiori: la carenza d’acqua nel Paese sta già sollevando lo spettro della carestia, a cui si aggiungerà a una riduzione della produzione di energia elettrica, fonte di energia primaria per Dushanbe. Questi due sviluppi, a loro volta, minacciano di amplificare le difficoltà del Tagikistan nel controllare la sua enorme ma scarsamente popolata regione autonoma del Gorno-Badakhshan, una provincia sita al confine con l’Afghanistan.

Lo scorso 7 luglio, nei pressi del canale, si sono verificati scontri tra esponenti dell’etnia tagika che vivono in Afghanistan e i governanti talebani, che hanno causato undici feriti. I manifestanti tagiki si oppongono ai piani di Kabul per il canale, poiché temono che il governo centrale afghano utilizzi il progetto per sostenere una “colonizzazione pashtun della regione”.

Le dinamiche del canale Qosh Tepa toccano anche due attori presenti nell’area, ovvero la Russia e la Cina. Mosca teme che l’instabilità che si profila all’orizzonte possa limitare la sua influenza regionale, culminante nello scenario più drastico legato alla perdita della sua rimanente base militare in Tagikistan. Inoltre, la destabilizzazione del Tagikistan potrebbe persino aprire la strada alla diffusione del radicalismo islamico nella Federazione Russa, un aspetto a cui il Cremlino è particolarmente sensibile all’indomani dell’attentato al Crocus City Hall e dei fatti del Daghestan.

La questione ha suscitato così tanti timori che alcune voci in Russia hanno promosso una reazione del Cremlino che passi attraverso la revitalizzazione di un progetto di diversione fluviale siberiana che invierebbe l’acqua dei fiumi russi verso sud, in Asia centrale. Il progetto è già stato respinto negli anni ’80 e rimane profondamente impopolare tra i russi. Dal canto suo Pechino, pur temendo un’espansione dell’influenza islamista (tema già discusso dai governi cinese e talebano), vuole espandere la sua presenza economica e militare in Tagikistan e ottenere l’accesso alle miniere di sale del Gorno-Badakhshan, che diventeranno accessibili una volta che Qosh Tepa sarà pienamente operativo.

Entrambe le potenze potrebbero essere coinvolte in eventuali escalation nella regione, qualora la situazione nel Gorno-Badakhshan peggiorasse ulteriormente, o in caso di un ulteriore accrescersi delle tensioni tra Tagikistan e Afghanistan. Mentre la Russia sarebbe toccata nella dimensione militare, probabilmente aumentando il suo dispiegamento di forze in Tagikistan, Pechino lo sarebbe in quella diplomatica, e farebbe leva sulla sua influenza a Dushanbe e Kabul, per non perdere i guadagni ottenuti in entrambi i Paesi. E con la prima impegnata nel conflitto in Ucraina, mentre la seconda mira ad accrescere la sua posizione nella regione, eventuali escalation sarebbero tutt’altro che gradite.



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