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Con Kamala si riapre la partita per la Casa Bianca. La versione di Funiciello

Dopo il ritiro di Biden dalla corsa alla Casa Bianca, la partita delle presidenziali è tutta da giocare e i democratici con la figura di Harris hanno diverse chance, pur partendo in rincorsa. Ora si tratta di “incoronarla” in modo trasparente. Sui rapporti con l’Europa resta un’incognita, mentre Trump durante il primo mandato ebbe un rapporto molto difficile con la Germania. E sull’Italia penderà l’interesse per il Mediterraneo. Conversazione con Antonio Funiciello

Adesso è tutta un’altra partita. Il passo indietro di Joe Biden e la prospettiva sempre più solida della vice, Kamala Harris, alla corsa per la Casa Bianca aprono a uno scenario nel quale i democratici “pur partendo in rincorsa, se la possono giocare. Adesso, sarà importante che Harris venga “incoronata” attraverso un processo trasparente e che venga scelto un valido candidato alla vicepresidenza”. A dirlo a Formiche.net è Antonio Funiciello, ex capo di gabinetto di Paolo Gentiloni e Mario Draghi, analista e saggista (il suo ultimo libro è “Tempesta. La vita (e non la morte) di Giacomo Matteotti”, Rizzoli).

La rinuncia di Biden è più un problema o un vantaggio per i Repubblicani?

È un problema per ragioni oggettive. Ma anche i dem si erano preparati a fare una campagna elettorale di un certo tipo, ora è tutta un’altra storia. Kamala Harris è una candidata molto valida e ha non poche chance, benché la partita contro Trump sia tutt’altro che semplice da giocare.

Che frecce ha alla sua faretra, Harris?

Ha svolto il suo incarico alla vicepresidenza in maniera molto valida e ora può condurre una campagna elettorale più “fresca” , facendo un grande lavoro molto più energico rispetto a Biden anche per ragioni strutturali e oggettive. Non solo. Può sviluppare temi in continuità con l’attuale presidente o decidere di variare i fronti dell’agenda politica. È una candidata che ha una grande consapevolezza, anche in virtù del ruolo di governo che ha ricoperto. Per cui credo che terrà testa a Trump senza troppi problemi. È una candidata molto televisiva, capace di parlare in pubblico. Insomma, ora mi sembra che la campagna elettorale sia in qualche modo più aperta.

Trump resta, comunque, il candidato favorito. 

Personalmente non l’ho mai reputato un candidato forte in realtà. Quando sfidò, da presidente uscente, Biden, perse in maniera netta. Con grande distacco. Ricordo che perse addirittura in Georgia. Poi, certo, al momento è in testa ma Harris lo rincorrerà. Ed è verosimile che Trump, se dovesse essere eletto, si troverà a governare con il Congresso contro. Non propriamente una prospettiva rosea.

Non c’è il rischio che questo ritiro di Biden presti il fianco a critiche anti-occidentali che alimentino la propaganda contro gli Usa nel dibattito pubblico?

Mi pare un’argomentazione capziosa. Un po’ da propaganda russa, tanto più che se Biden si dovesse dimettere prima della fine naturale del mandato dovrebbe subentrargli, da subito, la Harris. Sarebbe dunque un’argomentazione risibile. Detto questo, credo invece che sarà importante per i democratici gestire bene questa fase: la designazione ufficiale di Harris in maniera trasparente e poco caotica e la scelta oculata del candidato vicepresidente. Un ruolo che potrebbe essere chiave negli swing states.

Come saranno i rapporti Washington-Bruxelles nelle due ipotesi in cui dovesse vincere Trump o, al contrario, qualora dovesse affermarsi una candidatura democratica?

Trump ha fatto in tempo a “vivere” da presidente una prima porzione dell’epoca von der Leyen. Di base i rapporti con gli Usa con lui alla presidenza sono stati caratterizzati da un’altissima conflittualità in particolare verso la Germania. Trump lavorava molto con i singoli governi, ma poco con le istituzioni comunitarie. Se dovesse vincere Harris, sarà uno scenario tutto da scoprire: non si è mai occupata di politica estera.

E per l’Italia?

Per Harris vale il principio dell’incognita così come per l’Europa, benché i dem abbiano dimostrato in questi anni di avere un ottimo rapporto con il governo italiano. Anche Trump ha sempre guardato all’Italia con interesse tanto più che il nostro Paese ha una posizione strategica per il Mediterraneo. Dunque la discriminante sarà capire quale peso rivestirà il Mediterraneo nella politica estera statunitense del prossimo presidente Usa.


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