La Consulta respinge l’ipotesi di una illegittimità costituzionale del meccanismo che impone alle aziende biomedicali di concorrere al deficit sanitario per 1,1 miliardi. Ora riparte la caccia a una soluzione strutturale, forse nella prossima manovra. Ma per Confindustria è comunque allarme rosso
Le imprese dei dispositivi bio-medicali, raccontano i bene informati, non l’hanno presa bene, se non altro perché proprio non se lo aspettavano. Difficile, d’altronde, fare altrimenti. La Consulta, dopo aver rinviato la sua decisione di oltre un mese, ha confermato la legittimità costituzionale di fondo del payback, il meccanismo che impone alle aziende che riforniscono le regioni e le loro sanità di dispositivi medicali, di concorrere allo sforamento dei tetti di spesa. Certo, i giudici riunitisi in camera di consiglio nella mattinata e usciti nel primo pomeriggio, hanno ammesso nella loro sentenza l’esistenza di criticità nella norma. Ma è comunque un colpo alle imprese del settore, ora con ogni probabilità costrette al pagamento di 1,1 miliardi di euro, a fronte degli sforamenti di spesa per il quadriennio 2015-2018.
La questione della legittimità costituzionale del payback era stata sollevata dalla sentenza del Tar del Lazio dello scorso 24 novembre e da allora la palla era passata direttamente alla Consulta, alla quale spetta l’ultima parola. Ebbene, il meccanismo del payback sui dispositivi medici “presenta diverse criticità, ma non risulta irragionevole in riferimento all’articolo 41 della Costituzione”, quanto al periodo 2015-2018. “Esso (il payback, ndr), infatti, pone a carico delle imprese per tale arco temporale un contributo solidaristico, correlabile a ragioni di utilità sociale, al fine di assicurare la dotazione di dispositivi medici necessaria alla tutela della salute in una situazione economico-finanziaria di grave difficoltà”, hanno scritto i giudici della Consulta.
Il meccanismo, secondo la Corte, non risulta neppure sproporzionato, “alla luce della significativa riduzione al 48% dell’importo originariamente posto a carico delle imprese”. Inoltre, la Corte ha osservato che la disposizione censurata (il medesimo payback, ndr) “non contrasta con la riserva di legge prevista dall’articolo 23 della Costituzione per l’imposizione di prestazioni patrimoniali”. E adesso?
Le imprese, raccontano alcune fonti, vorrebbero continuare a opporsi con tutti i mezzi legali. Finora l’esecutivo di Giorgia Meloni, grazie alla spinta arrivata soprattutto da Fratelli d’Italia, è riuscita a rinviare i pagamenti, individuando di volta in volta le coperture nei vari Documenti di economia e finanza, ma senza mettere a punto una soluzione strutturale al problema in grado di sterilizzare, se non addirittura abolire, del tutto il payback. Di sicuro almeno per il momento, rimane una fortissima preoccupazione per il futuro del comparto biomedicale.
“La pronuncia di rigetto della Corte costituzionale sull’incostituzionalità del meccanismo del payback sui dispositivi medici versa un intero comparto e tutta la filiera italiana del settore in una crisi irreversibile. Gran parte delle imprese non solo saranno nell’impossibilità di sostenere il saldo di quanto richiesto dalle regioni, ma saranno altresì costrette ad avviare procedure diffuse di mobilità e licenziamento, ad astenersi dalla partecipazione a gare pubbliche e, in molti casi, a interrompere completamente la propria attività in Italia”. Questo, in sintesi, il commento di Nicola Barni, presidente di Confindustria dispositivi medici. “Chiediamo con forza al governo l’immediata convocazione e costituzione di tavoli per gestire la crisi del comparto. Inoltre, con questa sentenza non si è considerato che le imprese potrebbero non essere in grado di provvedere alle forniture con un’inevitabile ripercussione sulla capacità del sistema di garantire la tutela della salute dei pazienti”.