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Disinformazione e sicurezza. Perché serve un’alfabetizzazione mediatica

Dopo l’aggressione russa all’Ucraina il dilagare della disinformazione è stato piuttosto preoccupante tanto in Italia quanto in altre realtà europee come la Francia. Il progetto Media Literacy for Democracy, finanziato dall’Ue, mostra diversi gradi di vulnerabilità nei Paesi. Ecco perché occorre uno sforzo multidisciplinare. Il convegno promosso dalla deputata di Azione, Federica Onori

Quella contro la disinformazione deve essere una lotta senza esclusione di colpi e che deve riguardare tutti perché ha a che fare con la “salvaguardia dei principi democratici”. Federica Onori, deputata di Azione, è tra i politici a cui il tema sta più a cuore a maggior ragione a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin.

Sul tema le sue posizioni sono sempre state piuttosto chiare e, oltre a diverse missioni proprio nei territori del conflitto, si è occupata anche delle tante interferenze russe nell’ambito dell’informazione. Azioni volte a proporre una narrazione parallela del conflitto. Anche per questo ieri, a Montecitorio, Onori ha voluto presentare gli esiti del progetto Media Literacy for Democracy, finanziato dall’Ue e coordinato dalla Federazione Italiana diritti umani (Fidu).

“Il tema della disinformazione – così Onori – è strettamente correlato a quello della tenuta delle istituzioni democratiche e della sicurezza nazionale”. Più in generale, allargando lo sguardo all’agenda Onu 2030 “esistono dei target che fissano degli obiettivi di pace e di giustizia. Mete perseguibili anche attraverso la corretta informazione e un’efficace strategia di alfabetizzazione mediatica”.

Ed è questo, a ben guardare, il senso profondo del progetto di cui ha parlato approfonditamente la vicepresidente di Fidu e coordinatrice dI Media Literacy for Democracy, Eleonora Mongelli.

“Il progetto – spiega – nasce a ottobre dello scorso anno e il suo elemento caratterizzante è stato l’approccio multidisciplinare al tema della disinformazione. Abbiamo messo assieme una serie di professionalità per sviluppare una forma di anticorpi che mettessero il più possibile al riparo l’opinione pubblica europea dalla diffusione delle fake news”.

Il punto di partenza è la presa d’atto che il debunking non sia più sufficiente. “Arriva tardi – prosegue Mongelli – non è abbastanza per rimediare ai danni che la disinformazione ha già fatto in una larga fetta di opinione pubblica”.

Dunque l’osservazione di queste dinamiche ha permesso al gruppo di lavoro di constatare “un diverso grado di vulnerabilità alla disinformazione presente nei Paese europei”. E, parallelamente, ha rafforzato i promotori nella convinzione che occorrano sempre di più “competenze trasversali per l’alfabetizzazione mediatica – chiude la coordinatrice – e che i governi investano risorse ingenti per questo tipo di strategie che hanno a che fare con i principi cardine delle democrazie libere”.

A proposito di politica, è Marta Ottaviani (giornalista e co-fondatrice di Fake Republic) a lanciare una provocazione alla politica. Perché, osserva, “il tema della disinformazione è ancora molto sottovalutato: sia dai politici che dai giornalisti, per i quali auspicherei la frequentazione di corsi di alfabetizzazione”.

Il nemico da cui guardarsi, ha un nome: “Si chiama putinismo”. “È come una piovra – prosegue la giornalista – si insinua e trova spazio laddove non ci sono gli anticorpi per contrastarlo e laddove le ambiguità superano i punti di chiarezza”.

Se per l’Italia “sono molto preoccupata” ammette Ottaviani, “anche in Francia la situazione non è migliore: dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina, la situazione della disinformazione in chiave putinista è terribilmente peggiorata”. D’altra parte “nei Paesi democratici si fatica a immaginare che qualcuno possa condurre queste guerre non lineari per influenzare pensantemente l’opinione pubblica”. Ma tant’è.

Il communication manager di Idmo (Italian digital media observatory), Gian Marco Passerini, si concentra su due tasselli che compongono il complesso mosaico della disinformazione. “Abbiamo iniziato a osservare la diffusione della disinformazione fin dai tempi del Covid – così Passerini – e abbiamo notato una sorta di sovrapposizione tra il “popolo“ dei no vax, che è diventato – all’indomani dello scoppio della guerra – il “popolo” dei putinisti”. Dunque la narrativa “colpisce tantissimi ambiti” ed è per questo che occorre “parlare con i giovani e portarli verso una consapevolezza rispetto all’utilizzo anche delle nuove tecnologie e dei media”. Motivo per il quale “l’approccio più virtuoso è quello multidisciplinare e che vede la collaborazione di social e tv contro la disinformazione”.

In questa filiera contro la diffusione delle fake news, un ruolo importante lo svolgono i think tank. La pensa così Teresa Coratella, vicedirettrice dell’ufficio di Roma dell’Ecfr. “Le realtà come la nostra – dice Coratella – devono essere attori responsabili della lotta contro la disinformazione e fare ricerca sulla base dei dati. Occorre lavorare sui temi concreti che riguardano il dibattito politico, cercando di proporre policy concrete”.

Benché la vicedirettrice di Ecfr sostenga fortemente la “collaborazione fra istituzioni per combattere la disinformazione”, fa anche un’autocritica rispetto al mondo dei think tank. “Spesso – chiude – tra noi c’è una competizione talmente elevata che preclude qualsiasi possibilità di collaborazione. Ma è una circostanza che andrebbe superata”.

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