I leader e le prime file della maggioranza assicurano che le vistose fibrillazioni degli ulitmi giorni non intaccheranno la stabilità del governo, ma tutto lascia credere che la Fase 1 dell’esecutivo, quella col vento in poppa, si sia in effetti conclusa. L’opinione di Andrea Cangini
I commentatori appaiono concordi: per il governo Meloni si è chiusa una fase politica. E si è chiusa male. Scrive Stefano Folli su Repubblica: “L’impressione generale è che l’Italia sia un po’ in affanno proprio nel campo in cui si sentiva più forte: la politica estera”.
Ribadisce Antonio Polito sul Corriere della Sera: “Si sta esaurendo il bonus di credibilità internazionale che Giorgia Meloni aveva conquistato al suo governo, e che ha finora protetto anche il nostro debito pubblico sui mercati”.
Pesa, dunque, la decisione di Giorgia Meloni di teneresi fuori dal gruppo di testa che guiderà l’Europa, pesa il mancato incarico all’Italia di inviato per il Fronte Sud dell’Alleanza Atlantica e soprattutto pesa il rumoroso conflitto pubblico tra i due vicepresidenti del Consiglio. Matteo Salvini e Antonio Tajani sono platealmente divisi sia sulla governance europea sia sulla strategia della Nato in Ucraina, mentre in politica interna i loro partiti appaiono ai ferri corti sul rinnovo del Cda Rai come sul disegno di legge concorrenza.
E c’è da credere che la possibile vittoria di Donald Trump alle presidenziali americane di novembre aggiungerà nuove tensioni a rapporti già pericolosamente tesi. Per non parlare della difficoltà rappresentata dal referendum costituzionale, qualora la riforma cosiddetta del premierato completasse il proprio iter parlamentare.
I leader e le prime file della maggioranza assicurano che tali vistose fibrillazioni non intaccheranno la stabilità del governo, ma tutto lascia credere che la Fase 1 dell’esecutivo, quella col vento in poppa, si sia in effetti conclusa.
Certo, il rinculo di Calenda e Renzi verso il Pd di Elly Schlein non fa del centrosinistra un’alleanza politica con credibilità di governo, ma rende indiscutibilmente competitivo il cosiddetto “campo largo”. Le prossime elezioni in Emilia-Romagna, in Umbria e forse anche in Liguria potrebbero, perciò, segnare un’inversione di tendenza. Il centrodestra potrebbe doversi cimentare con le prime sconfitte, il centrosinistra potrebbe curare le proprie fratture interne col balsamo della vittoria.
Ai tempi della tanto vituperata Prima Repubblica, un simile scenario era affrontato con quella che veniva definita una verifica di governo. Magari foriera di un rimpasto. C’è da credere che Giorgia Meloni userà un lessico diverso, ma di sicuro non potrà fare a meno di dare una vistosa registrata ai rapporti politici tra gli alleati. Quantomeno, dovrà provarci.