In definitiva, il vero rebus per la vicepresidente è trovare un profilo che sia in grado di federare il Partito democratico: una sfida tutt’altro che semplice, viste le divisioni che, su varie questioni, attraversano – non certo da oggi – questo schieramento. L’analisi di Stefano Graziosi
Cresce la curiosità sula figura che Kamala Harris sceglierà come proprio running mate. La vicepresidente ha fatto sapere che finalizzerà la sua decisione entro il 7 agosto. Nel frattempo, sta valutando vari profili. Per il momento, un paio di nomi sono già finiti fuori dalla lista dei papabili: stiamo parlando del governatore del North Carolina, Roy Cooper, e della collega del Michigan, Gretchen Whitmer. “Sono onorato di essere stato preso in considerazione per questo ruolo. Non era il momento giusto per il North Carolina e per me di essere potenzialmente in un ticket nazionale”, ha dichiarato il primo. “Ho comunicato a tutti, compresi i cittadini del Michigan, che rimarrò governatrice fino alla fine del mio mandato, alla fine del 2026”, ha fatto sapere la seconda.
È interessante notare che sia il North Carolina sia il Michigan sono considerati Stati chiave alle prossime elezioni. Questo significa che, nella valutazione del running mate, la vicepresidente sta comprensibilmente tenendo presente la delicata questione della mappa elettorale. D’altronde, è vero che alcuni sondaggi iniziano a dare Harris competitiva negli Stati chiave. È tuttavia altrettanto vero che, secondo The Hill, vari parlamentari e strateghi dem starebbero esprimendo dubbi, dietro le quinte, sulle sue capacità di conquistare aree cruciali, come Michigan, Pennsylvania e Wisconsin.
È in tal senso che uno dei nomi attualmente più gettonati come possibile vice è quello del governatore della Pennsylvania, Josh Shapiro. Si tratta di un profilo interessante, che potrebbe aiutare Harris a rivolgersi ai colletti blu della Rust Belt: una quota elettorale, questa, rispetto a cui la vicepresidente si è sempre mostrata piuttosto debole. D’altronde, Harris è espressione di una sinistra liberal che trova la sua principale base di consenso nei ceti urbani altolocati di California, New York e New England. In tal senso, Shapiro potrebbe aiutarla con gli operai della Pennsylvania e con i metalmeccanici del Michigan. Ma potrebbe anche crearle delle difficoltà. Il governatore è infatti uno strenuo sostenitore di Israele e questo prevedibilmente irriterebbe l’ala filopalestinese della sinistra dem: quell’ala che, negli scorsi mesi, era arrivata a promuovere azioni di boicottaggio ai danni della campagna per la ricandidatura di Joe Biden. Finora la Harris ha mostrato delle posizioni piuttosto evasive sulla crisi di Gaza, proprio perché non vuole inimicarsi parti dell’elettorato dem. Non è tuttavia chiaro se questa strategia cerchiobottista, a lungo andare, si rivelerà efficace.
Altri nomi in lizza per la candidatura a vice sono quelli del governatore dell’Illinois, J.B. Pritzker, e del collega del Kentucky, Andy Beshear. Queste due figure sposterebbero notevolmente a sinistra il ticket dem sulle questioni eticamente sensibili. Il che si tradurrebbe in un’arma a doppio taglio. Da una parte, la Harris rafforzerebbe la sua presa sull’elettorato liberal-progressista, rendendo più difficile a Donald Trump la possibilità di sottrarle terreno su questo fronte. Dall’altra, la vicepresidente rischierebbe di peggiorare i suoi (già non idilliaci) rapporti con i cattolici: una quota elettorale, questa, che spesso permette ai candidati presidenziali di conquistare la Casa Bianca. Per quanto riguarda invece le considerazioni sulla mappa elettorale, Biden, nel 2020, vinse l’Illinois con 17 punti di vantaggio, mentre perse il Kentucky con uno scarto del 26%. Da questo punto di vista, le quotazioni di Beshear appaiono quindi al momento più alte di quelle di Pritzker. Senza infine trascurare il governatore del Minnesota, Tim Walz: nonostante Biden vi avesse vinto di sette punti nel 2020, questo Stato è diventato contendibile negli ultimi mesi. Harris potrebbe quindi puntare proprio su Walz per cercare di blindarlo.
Altri due nomi che circolano sono quelli del segretario ai Trasporti, Pete Buttigieg, e del senatore dell’Arizona, Mark Kelly. Il primo era un tempo considerato un astro nascente del Partito democratico. Continua ad avere delle chances, anche perché è forse l’unico tra i vari nomi in lizza a godere di autentica notorietà a livello nazionale. Eppure su di lui pesa il caos aereo scoppiato nel gennaio 2023: un elemento, questo, che potrebbe tornare a perseguitarlo politicamente in caso venga scelto come candidato vice. Se invece Harris optasse per Kelly, il ticket dem darebbe una evidente sterzata a destra. Kelly è considerato infatti un democratico centrista: il che consentirebbe alla vicepresidente di allargare la propria base elettorale e di aumentare la possibilità di espugnare uno Stato potenzialmente decisivo in vista delle prossime presidenziali. Dall’altra parte, il rischio per Harris è che, puntando sul senatore dell’Arizona, possa creare del malumore nell’ala sinistra dell’Asinello. In definitiva, il vero rebus per la vicepresidente è trovare un profilo che sia in grado di federare il Partito democratico: una sfida tutt’altro che semplice, viste le divisioni che, su varie questioni, attraversano – non certo da oggi – questo schieramento.
(Official White House Photo by Lawrence Jackson)