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Il raid contro Deif non impatta sui negoziati Israele-Hamas (per ora)

Per ora resta aperta la possibilità di un accordo, ma l’attacco contro il leader di Hamas Deif, e le vittime civili prodotte da Israele, potrebbe portare a un inasprimento dello scontro

Il recente attacco israeliano mirato contro Mohammed Deif, il capo e mente fondatrice delle Brigate Izz ad-Din al-Qassam di Hamas, ha acceso ulteriori tensioni nella già complessa situazione di Gaza. Deif, noto per essere sopravvissuto a numerosi tentativi di assassinio (almeno altri sette, si dice, di cui uno lo scorso anno quando ancora si era in tempo di pace), è una figura chiave nella strategia militare di Hamas, rendendo ogni attacco contro di lui di estrema importanza sia tattica che simbolica.

L’attacco, avvenuto a Khan Yunis (città natale in comune con Yayha Sinwar, capo dei clan intenti a Hamas nella Striscia di Gaza), rimane avvolto nell’incertezza. Nonostante le dichiarazioni di Hamas che affermano che Deif sia sopravvissuto, non sono state fornite prove concrete del suo stato di salute. Israele non ha confermato ufficialmente la sua morte, e ha alimentato le speculazioni su una possibile fuga attraverso i tunnel sotterranei di Gaza (verso l’Egitto?). È possibile anche che sia ricoverato in ospedale, imboscato tra le dozzine di feriti (circa trecento) dell’attacco. Indizio: Hamas ha aumentato la sicurezza nell’ospedale che sta gestendo le cure di quelle persone colpite.

La rilevanza di Deif risiede nel suo ruolo cruciale nella pianificazione delle operazioni militari di Hamas, compreso il recente massacro del 7 ottobre, rendendolo un obiettivo di alto profilo per Israele.

L’attacco ha avuto conseguenze gravi, con la morte di circa 90 persone — perché Israele, per assicurarsi dell’effetto dell’attacco, ha scelto di usare otto bombe ad alto potenziale (e minore precisione), ossia voleva radere al suolo il sito target. Anche perché è avvenuto ad al Muwasi, nell’area umanitaria dichiarata protetta da Israele stessa. Tuttavia, secondo le informazioni diffuse da Gerusalemme, la maggior parte delle vittime erano adulti affiliati ad Hamas in qualche modo. Ma ci sono state anche svariate segnalazioni di vittime civili, sebbene non siano chiari estremi quantitativi (anche perché i dati più concreti sono quelli del ministero della Salute gazawi, sotto amministrazione di Hamas, che non distingue le vittime civili da quelle militari, anche quando conteggia i 38mila morti totali).

E dunque, per quanto nella pragmatica cinica della guerra il tentativo di eliminare Deif sia un passaggio quasi necessario per disarticolare Hamas — responsabile dell’avvio dell’attuale stagione di guerra, con l’attacco del 7 ottobre — l’episodio ha aumentato le critiche internazionali sulle operazioni militari di Israele a Gaza, evidenziando il tragico costo umano dei conflitti urbani intensi.

L’attacco a Deif potrebbe dunque avere implicazioni significative per gli equilibri del conflitto israelo-palestinese. Da un lato, la rimozione di un leader militare di tale importanza potrebbe indebolire Hamas, ma dall’altro potrebbe anche intensificare le ostilità a breve termine. Per quanto riguarda i negoziati per il cessate il fuoco, l’attacco ha provocato un rallentamento temporaneo, ma gli sforzi diplomatici sembrano proseguire. Israele ritiene che solo una pressione militare continua può portare Hamas al tavolo delle trattative, come dimostrato dai precedenti accordi per il rilascio degli ostaggi. Tuttavia procedono le trattative per liberare 116 persone rapite durante il massacro dello shabbat.

Ora chi negozia tra Qatar ed Egitto evidenzia che quest’altro massacro, avvenuto anch’esso di sabato, per eliminare Deif possa avere effetto non solo sulle trattative, ma anche su un nuovo inasprimento dello scontro. Ma per ora, la leadership di Hamas che lavora da fuori al territorio di guerra, protetta tra Doha e la Turchia, non ha ritirato la delegazione che negozia con qatarini, egiziani, americani e israeliani. Per ora resta aperta la possibilità di un accordo.

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