Il ruolo di bilanciamento con Pechino di Meloni è ora più importante, in un momento in cui la Germania di Olaf Scholz e la Francia di Emmanuel Macron appaiono particolarmente deboli. Conversazione con Noah Barkin, senior advisor del Rhodium Group e visiting senior fellow al German Marshall Fund, sull’imminente viaggio in Cina della presidente del Consiglio
Entro fine mese, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni sarà in Cina, ospite del leader Xi Jinping che ha appena rinnovato le linee guida politico-amministrative con la riunione del Terzo Plenum. Sarà un momento importante, il primo premier di un governo europeo a recarsi a Pechino dopo la votazione della nuova Commissione (su cui Meloni ha avuto una posizione politica personale, considerata controversa per il mancato sostegno al nuovo esecutivo di Ursula von der Leyen), anticipando di poco anche le complesse elezioni statunitensi. Come leggere il viaggio di Meloni in Cina, tra l’uscita dal Belt & Road Initiative (Bri) e la volontà di mantenere attiva la partnership strategica che quest’anno compie venti anni?
“Meloni avrà un delicato gioco di equilibri a Pechino. Da un lato, vorrà allentare le tensioni persistenti con la Cina per l’uscita dell’Italia dalla Bri, aprire i mercati per le imprese italiane in Cina e attrarre investimenti cinesi in Italia. D’altro canto, dovrà fare in modo di non allontanare troppo l’Italia dall’agenda di de-risking portata avanti a Bruxelles”, risponde Noah Barkin, senior advisor del Rhodium Group e visiting senior fellow al German Marshall Fund.
“Sarà importante, ad esempio, che lei sostenga a Pechino i dazi della Commissione sulle importazioni di veicoli elettrici cinesi”, spiega l’analista, tra i massimi esperti di rapporti tra Cina ed Europa. “Dovrà anche trasmettere un chiaro messaggio di preoccupazione alla leadership cinese per il sostegno che sta fornendo alla Russia, dopo che il G7 e la Nato hanno entrambi condannato il ruolo di Pechino nell’alimentare la macchina da guerra di Mosca in Ucraina”.
È questo uno dei ruoli che l’Italia potrebbe avere nel quadro più ampio delle relazioni Ue-Cina? “Ci stiamo avviando verso un periodo di crescenti tensioni commerciali tra l’Unione europea e la Cina. La sfida sarà quella di gestire queste tensioni senza che esplodano in una vera e propria guerra commerciale. La Cina cercherà di allontanare i Paesi dall’approccio più duro adottato da Ursula von der Leyen con una combinazione di bastoni e carote. Come uno dei più grandi Paesi europei e membro del G7, l’Italia ha un ruolo fondamentale nel garantire che l’Europa non cada in questa trappola e presenti un fronte unito”.
Per questo, secondo Barkin il ruolo di Meloni è ancora più importante, in un momento in cui la Germania di Olaf Scholz e la Francia di Emmanuel Macron appaiono particolarmente deboli.
E gli Stati Uniti? Dopo le elezioni presidenziali, ci si immaginano poche sorprese riguardo alla linea cinese, anzi… Ci sarà ancora spazio per Paesi come l’Italia (e quegli altri europei) per cercare di avere una sorta di dialogo con Pechino? “Tra l’amministrazione Biden e quella Trump abbiamo assistito a una continuità sulla politica cinese maggiore di quanto molti si aspettassero. È in effetti improbabile che la situazione cambi con il prossimo presidente, a prescindere da chi sia alla Casa Bianca”.
Stante questo, l’Europa dovrebbe aspettarsi maggiori pressioni da parte di Washington sulla Cina. “La sfida per le capitali europee sarà però sviluppare un approccio che rimanga distinto da quello degli Stati Uniti, che metta al primo posto gli interessi europei, ma anche che non sia incompatibile con le politiche perseguite a Washington. Sarà importante per l’Europa mantenere il dialogo con Pechino, soprattutto se le relazioni tra Stati Uniti e Cina si deterioreranno ulteriormente con la prossima amministrazione americana”.