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L’Europa strategy per arginare il ciclone Trump all’orizzonte. L’opinione di d’Anna

Dall’Ucraina, alla Nato, all’intelligence: sono molteplici e articolate le strategie che istintivamente da parte dei singoli Stati e complessivamente dall’Unione Europea si stanno mettendo a punto per arginare le dinamiche legate al sempre più probabile ritorno di Trump alla Casa Bianca. L’analisi di Gianfranco D’Anna

La nuova frontiera americana sembra essersi spostata in Europa. Una delocalizzazione simile ad un esilio che per l’american dream di Bob Dylan, Joan Baez, Martin Luther King, di John e Robert Kennedy, é insieme un innesto di democrazia in progress nel vecchio continente, in attesa di tornare a interpretare l’anima profonda degli States sconvolti come il resto del mondo da un bug crash digitale per fortuna solo temporaneo, ma comunque anteprima della cyber war.

Stati Uniti che, a meno dell’ultima chance di un’alternativa elettorale alla francese che l’obnubilazione di Biden si ostina ancora a negare, si apprestano a rivivere le convulsioni della “Trump doctrine”, intrise questa volta nei veleni di un’immunità presidenziale che é la negazione dei principi democratici della Costituzione dei Padri Pellegrini. Dalla peggiore tempesta americana di tutti i tempi ai venti di guerra di Mosca, visti dall’Europa gli scenari dei prossimi cinque mesi lasciano intravedere un panorama globale di contrasti e di resistenza per i prossimi quattro anni. Gli anni della quasi scontata seconda presidenza di Donald Trump.

A differenza del primo mandato del tycoon alla Casa Bianca, i vertici appena riconfermati dell’Unione Europea, il nuovo Segretario Generale della Nato, Mark Rutte, ed i leader dei principali paesi del continente a cominciare dall’Inghilterra di Keir Starmer che avrà un ruolo decisivo, la Germania di Scholz, la Francia di Macron, l’Italia di Giorgia Meloni e la Spagna di Pedro Sanchez, conoscono già l’imponderabilità isolazionista di Trump e sono in grado di anticipare e contrastare scelte che collidono con l’alleanza atlantica e con l’identità economica, culturale e democratica dell’Occidente.

Ma basterà la preparazione e la coesione dei leader europei a stoppare le eventuali indigeribili strategie del 47° Presidente degli Stati Uniti?
Sul piano economico l’alternativa é quella storica di un’Europa che nonostante il confronto sempre più serrato sul versante indo pacifico fra Washington e Pechino, rimane pur sempre il baricentro dell’interscambio commerciale e finanziario mondiale. Un mercato talmente in grado d’assorbire le produzioni cinesi e quelle americane da essersi trasformato di fatto in uno dei maggiori protagonisti di riferimento, in grado di condizionare il Pil delle due superpotenze.

In ambito geostrategico, ameno di una saggia riproposizione, più propagandistica che effettiva della dottrina dell’America first, l’isolazionismo del ticket Trump – Vance non solo rischia di emarginare definitivamente gli Stati Uniti dall’Africa, dal sud est asiatico, dal sub continente indiano e dalla stessa America Latina, ma espone Australia, Giappone e l’Europa, cioé il nucleo occidentale, al pervasivo espansionismo intanto economico e poi sempre più tecnocratico, energetico e militare di Cina e Russia.

Inevitabile in caso di rotta trumpiana di collisione con l’Unione Europea, una possibile opzione cinese e indiana alla Marco Polo. Quanto meno a livello di esplorazione attiva dei due sistemi economico produttivi più concorrenziali a livello internazionale. A preoccupare nell’immediato é soprattutto la situazione molto più dirompente del fronte del pervicace e sempre più feroce tentativo della Russia di Putin di invadere l’Ucraina. Da Londra a Parigi a Berlino, per prevenire ed avere una chiave di lettura oggettiva nell’eventualità di autolesionistiche aperture di Trump al Cremlino, come per esempio potrebbe essere la “consegna” di Kiev a Putin, le intelligence europee stanno ripercorrendo tutti gli inconfessabili report top secret sulla visita, nel 1987, in veste di imprenditore, di Trump a Mosca e sulle notti trascorse nella Lenin Suite del National Hotel brulicante di telecamere e microspie.

Un viaggio con straordinari effetti d’illuminazione politica per il 41enne Trump, che rientrato a New York si butta letteralmente in politica, acquistando per centinaia di migliaia di dollari intere pagine sui principali quotidiani nazionali Usa per illustrare il suo manifesto politico: una subliminale apertura a Mosca e un attacco frontale a giapponesi ed europei, accusati di ingratitudine e inimicizia nei confronti degli Stati Uniti. Con la Cina al posto del Giappone, é in nuce il Trump pensiero del primo mandato presidenziale e del discorso alla Convention di Milwaukee che lo ha osannato come leader risorto, scampato ad un attentato perché salvato direttamente da Dio.

Il leader di una inedita e sconvolgente America nazional populista che ricorda paradossalmente le adunate oceaniche preolimpioniche degli anni ’30 in Germania. Più volte l’MI6, il servizio segreto per l’estero del Regno Unito, bypassando l’imbarazzo della Cia e dell’Fbi strettamente controllate dall’amministrazione Trump, ha accennato ai rapporti fra il tycoon e l’intelligence russa. Rapporti e registrazioni audio-video che il marasma dell’implosione dell’Unione Sovietica e il travaglio delle presidenze Gorbaciov e Eltsin, avevano relegato per anni nel dimenticatoio ma che l’erede della lugubre stagione del Kgb, Vladimir Putin, ha recuperato e messo all’incasso fin dalla “sorprendente” vittoria di Trump alle presidenziali del 2016 contro l’energica Segretaria di Stato ed ex first lady Hillary Clinton, nemica giurata di Putin, data per vincente da tutti i sondaggi.

Da qualunque parte lo si voglia analizzare, il contesto é questo. E nei sotterranei del palazzo londinese di Wauxhall Cros, al Dgse francese, al Bnd tedesco, al Cnc spagnolo e all’Aise italiana, in attesa di una comunque non risolutiva Biden exit, stanno già sfogliando i due petali della margherita einaudiana: conoscere per deliberare…



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