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Lezioni francesi per chi ha studiato almeno un poco. Scrive Pasquino

Superata una sfida insidiosa e minacciosa, non solo al regime semipresidenziale, ma in special modo ai suoi valori fondanti, la République ha impartito una lezione democratica molto importante un po’ a tutti, anche al papa preoccupato per l’astensionismo, e continua. Alors, bon voyage. Il commento di Gianfranco Pasquino, accademico dei Lincei e professore emerito di Scienza politica

Con il 35 per cento dei voti, il risultato del Rassemblement National al primo turno non era una vittoria, e meno che mai un trionfo (come scrissi qui con encomiabile capacità analitica, sic!). Con il 35 per cento dei voti al secondo turno, il Rassemblement perde alla grande. Incapace, forse, meglio impossibilitato a trovare alleati, il partito di Marine Le Pen e del suo delfino, in verità né carne né pesce, Jordan Bardella, non sembra avere ancora afferrato, dopo un quarto di secolo di avventure elettorali tutte inequivocabilmente perdute, la logica del sistema elettorale francese. Vince chi sa fare alleanze. Come disse a proposito delle elezioni russe, uno statista e filosofo politico padano, “quando il popolo vota ha sempre ragione”. Il 65 per cento del popolo francese ha detto “non, absolument pas” alla destra nazionalista, anti europeista, pro putinista, con qualche sottile venatura di discriminazione su base di nascita e colore della pelle. Adesso, come un sol uomo, i commentatori italiani si affannano a denunciare l’ingovernabilità della Francia, l’impossibilità di fare un governo poiché nessun partito ha la maggioranza assoluta.

Premesso che la nomina del primo ministro spetta al Presidente della Repubblica che è difficile considerare un sconfitto, va subito aggiunto che quel primo ministro non ha bisogno di un voto di fiducia (investitura). Chi non lo vuole deve trovare una maggioranza assoluta dell’Assemblea nazionale che gli/le voti contro. Vero è che il Nouveau Front Populaire è il gruppo parlamentare maggioritario, 182 seggi, ma, primo: dovrebbe compattamente unirsi al Rassemblement National, e questa sì sarebbe una alleanza del “disonore” (espressione di Bardella al quale bisognerà spiegare che la politica democratica consiste nel costruire alleanze ampie e rappresentative sia pro sia contro); secondo, almeno la metà dei parlamentari del NFP, grazie alla generosità nelle desistenze che va riconosciuta a Mélenchon, non sono esponenti di France Insoumise, ma socialisti, verdi e, nel lessico francese, divers gauche.

Dunque, esistono spazi di manovra numerici e politici che, applicando la Costituzione della Quinta Repubblica, il semipresidenzialismo consente non poca flessibilità, Macron potrà abilmente sfruttare con successo. Nell’Assemblea Nazionale, senza troppi ghirigori, intorno al governo e ai governanti, vi saranno deputati disposti a votare molte politiche concordate. Giusto così. Ne risponderanno ai rispettivi elettorati nei collegi uninominali. Si chiama accountability ed è la virtù democratica per eccellenza.

Superata una sfida insidiosa e minacciosa, non solo al regime semipresidenziale, ma in special modo ai suoi valori fondanti, la République ha impartito una lezione democratica molto importante un po’ a tutti, anche al papa preoccupato per l’astensionismo, e continua. Alors, bon voyage.


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