“C’è stato un rigetto da parte della Francia dell’operazione Macron, che nasce con l’idea di distruggere destra e sinistra nel nome del superamento di quella frattura. Un’operazione anti-populista ma, per paradosso, con robusti tratti populisti”. Conversazione con il docente universitario e analista, Giovanni Orsina
La Francia ha rigettato l’operazione Macron, dice a Formiche.net il prof. Giovanni Orsina, direttore della Luiss School of Government e autore per Rubbettino di “Una democrazia eccentrica. Partitocrazia, antifascismo, antipolitica”, ma il secondo turno è una nuova elezione, non il secondo tempo della stessa partita. In secondo luogo si apre un dibattito sulla potabilità di alcuni partiti politici, in particolar modo quelli considerati antisistema, anche alla luce dei milioni di voti ottenuti. “La triangolazione al secondo turno? Non dimentichiamo che la prima uscita di Mélenchon è stata contro Macron, non contro la Le Pen”.
Il bipolarismo emerso dalle elezioni francesi, almeno in questo primo turno, taglia fuori il centro macroniano? Quali le cause secondo la sua opinione?
Non sono così sicuro che il centro macroniano sia tagliato fuori. Certamente sconfitto, questo sì, però rimane comunque a un rispettabilissimo 20% e se contiamo nel centro anche i repubblicani, grosso modo, riprendo l’espressione usata da Gilles Gressani, la Gallia è divisa in “partes tres”: un terzo alla sinistra, un terzo al centro, un terzo alla destra. Ma il centro, essendo a sua volta diviso in macroniani e repubblicani, è andato molto peggio. Comunque sia, a prescindere dai blocchi elettorali, il tema centrale sicuramente è quello di un rigetto da parte della Francia dell’operazione Macron, che nacque con l’idea di distruggere destra e sinistra nel nome del superamento di quella frattura. Un’operazione anti-populista ma, per paradosso, con robusti tratti populisti. E un’operazione molto forzata, pensata a tavolino. Dopo sette anni, Macron si ritrova rigettato da gran parte del Paese, non ha potuto fare campagna elettorale per l’impopolarità, e la destra e la sinistra si sono ricostituite più radicali e rabbiose di prima.
Al di là dei numeri che emergeranno dal ballottaggio, come si potranno convincere gli elettori liberali e di centro a votare per i candidati di sinistra, come chiesto dal Presidente francese?
Non sarà facile. Il secondo turno è quasi una nuova elezione, fa storia a sé, a partire dalla partecipazione: bisogna capire se l’affluenza straordinaria del primo turno sarà confermata o meno. Soprattutto, non è affatto detto che l’elettore sposti il proprio voto seguendo l’indicazione del partito che ha votato in prima istanza. Dipenderà moltissimo dal candidato di collegio: fra un candidato del Rassemblement e un socialista l’elettore centrista probabilmente sceglierebbe il secondo, ma se a sinistra ci fosse un candidato della France Insoumise, la sua scelta sarebbe molto meno scontata. E non dimentichiamo che la prima uscita di Mélenchon è stata contro Macron, non contro la Le Pen: gli elettori di sinistra faranno convergere tutti i loro voti sul macroniano, nei collegi in cui quello si scontra con un candidato lepenista?
Tra un governo stabile e legittimo guidato dal Rn e una coalizione basata sull’unico comun denominatore di essere anti-destra, quale sarebbe la soluzione più logica?
Se ragionassimo in termini di continuità e stabilità istituzionale, sarebbe meglio un governo cosiddetto di alleanza repubblicana perché molto più in sintonia con Macron, mentre un governo del Rassemblement probabilmente sarebbe il preludio a un periodo di grande instabilità per il conflitto col presidente. Il problema è che il governo repubblicano mi pare impossibile, quindi la scelta mi sembra essere fra governo del Rn e caos, ossia fra conflitto istituzionale e paralisi istituzionale. Insomma, una padella e una brace. Poi, quale sia la padella e quale la brace dipende pure dalle preferenze politiche individuali.
È stato un azzardo da parte di Macron convocare le elezioni anticipate?
Io continuo a pensare di sì, anche se sento molte persone competenti affermare che non aveva alternativa, che dopo quel risultato alle europee, col suo partito al 15%, era talmente delegittimato che avrebbe avuto davanti tre anni di sostanziale impasse. Può darsi che sia così, però è vero pure che con questa iniziativa ha terremotato la Francia e anche l’Europa.
Come potrà un Paese di primaria importanza per l’Ue come la Francia gestire due voci, qualora Bardella dovesse andare a Matignon?
Ci sarebbe un bel caos, perché avremmo Macron nel Consiglio europeo, mentre nel Consiglio dell’Unione Europea siederebbero i ministri di un Governo Bardella. Un indirizzo politico a livello generale, e gli attuatori di un indirizzo politico opposto sui diversi terreni particolari.
Secondo Giorgia Meloni “demonizzare chi non vota a sinistra testuale un’ansa di poco fa è un trucco che non funziona più”. Ha ragione? E ancora, ci sono partiti in Europa che hanno meno diritti rispetto ai risultati elettorali?
Qualunque sistema politico si fonda su un nucleo di valori e i partiti che si contendono il potere dovrebbero contenderselo all’interno di quel perimetro, che in genere è quello definito dalla costituzione. Se ci sono dei partiti che quei valori non li accettano o li contestano o sono percepiti come partiti esterni a quel perimetro, vengono considerati antisistema. Il tema è stato molto studiato dalla scienza politica. Il Partito Comunista nell’Italia repubblicana era notoriamente considerato un partito antisistema, benché con intensità decrescente col passare dei decenni. Fatta questa premessa astratta, è poi evidente che in concreto le cose sono parecchio più complicate di così. Quali siano i valori irrinunciabili di un sistema, se un certo partito sia o non sia compatibile con loro, quanto sia incompatibile, chi abbia il diritto di dirlo tale: tutto questo è materia di scontro politico, è controverso, non c’è un’istituzione super partes che lo certifichi oggettivamente.
Si rischiano due pesi e due misure?
Si rischia che una determinata forza politica sia dichiarata antisistema ed esclusa non perché rappresenti davvero un pericolo per il sistema, ma perché chi la esclude ha un interesse politico a farlo. Credo che sia l’idea alla base del discorso di Meloni: un sistema in difficoltà cerca di consolidare il proprio potere delegittimando qualsiasi sfidante. Quanto al fatto che questa tecnica non funzioni più, ne sono convinto e lo dico da tanti anni. In questi giorni lo ha scritto anche Martin Sandbu in un editoriale sul Financial Times: meglio tardi che mai. Gli elettori sembrano non creder più che questi partiti siano un pericolo per la democrazia. Per carità, gli elettori possono sbagliare o essere essi stessi un pericolo per la democrazia, come ci ha insegnato l’abusatissimo esempio della Germania dei primi anni Trenta. Ciò nonostante, quando l’establishment politico e intellettuale vede un pericolo e un pezzo importante del Paese non lo vede, quanto meno qualche domanda dobbiamo porcela.