Skip to main content

Make America First in AI. Cosa ha in mente Trump

Il Washington Post ha letto il futuro ordine esecutivo che l’amministrazione repubblicana attuerebbe una volta riconquistata la Casa Bianca, sconfessando la politica di Biden. Gli uomini del tycoon ricoprirebbero posizioni apicali. Ma tutti negano, per ora

Tra le tante cose che cambierebbero con un ritorno di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, c’è anche l’approccio sull’Intelligenza Artificiale. “Revocheremo il pericoloso ordine esecutivo di Joe Biden che ostacola l’IA e impone idee radicali di sinistra sullo sviluppo di questa tecnologia”, fanno sapere dal partito repubblicano promettendo invece uno “sviluppo basato sulla libertà di parola e sulla prosperità umana”. L’amministrazione democratica aveva promosso la sua iniziativa per limitare i rischi derivanti dalla tecnologia, criticata però per soffocare l’innovazione. E Trump vorrebbe subito mettere mano a questo provvedimento. Come scrive il Washington Post, alcuni suoi stretti collaboratori – tra cui Larry Kudlow, ex consigliere economico del tycoon oggi a capo dell’organizzazione no profit America First Policy – starebbero redigendo un ordine esecutivo che porterebbe all’approvazione di una serie di “progetti Manhattan” per sviluppare tecnologia militare e superare “regolamenti inutili e onerosi”, quindi “non necessari”, venendo incontro alle richieste degli sviluppatori della Silicon Valley.

Si andrebbero così a formare una serie di agenzie, alla cui guida siederebbero i rappresentanti dell’industria, come le varie che hanno sottoscritto accordi con il Pentagono (il Wp cita ad esempio Anduril, Palantir e Scale). Si darebbe così un impulso pragmatico ma soprattutto si procederebbe con un’analisi degli attuali sistemi di intelligenza artificiale per proteggerli dalla concorrenza esterna. Su tutte, quella della Cina, già bollata da Trump e i suoi come il solo e unico rivale strategico.

Il progetto rientrerebbe nella nuova piattaforma repubblicana recentemente approvata dal partito, che ricalca in pieno la visione trumpiana. È stata d’altronde chiamata “America First: A Return To Common Sense”, all’interno di cui finisce inevitabilmente anche il settore tech: “Make America First in AI” è un framework del futuro ordine esecutivo che il Wp è riuscito a leggere.

Al momento però tutti prendono le distanze dal documento. L’American First Policy precisa che non rappresenta il suo pensiero, ma è solo una delle tante iniziative che vengono sottoposte all’organizzazione, mentre dalla campagna di Trump spiegano che tutto ciò che esce riguardo il lavoro che ha in mente l’ex presidente non può essere considerato come ufficiale. Almeno fino a quando non verrà di nuovo eletto. Trump ha anche negato di essere a conoscenza del Project 25 stilato dal think tank conservatore Heritage Foundation, che tra le tante prevede un repulisti ai vertici delle istituzioni pubbliche dove andrebbero posizionati gli uomini del tycoon. Proprio come l’ordine esecutivo sull’IA.

Chissà che dentro questi discorsi non ci possa finire anche Elon Musk, che proprio ieri ha annunciato l’intenzione di donare 45 milioni di dollari al mese al nuovo Super Pac di Trump, America Pac. I dissidi tra i due sono stati accantonati, tanto che il proprietario di SpaceX, Tesla e X potrebbe ricoprire il ruolo di consigliere in un eventuale secondo mandato del candidato repubblicano. Un’altra dimostrazione di affetto è la disputa nata tra Musk e il governatore della California, il democratico Gavin Newsom, anche lui nella lista dei successori di Biden qualora dovesse ritirarsi dalla corsa alla Casa Bianca. A causa della promulgazione della legge che tutela le persone transgender, Musk ha deciso di spostare il quartier generale di Tesla dalla californiana Hawthorn alla texana Austin. Uno dei motivi di coloro che votano Trump nella Silicon Valley, per lo più uomini bianchi e ricchi, è proprio il rifiuto dell’ideologia woke.

Musk è però solo il capopopolo dei grandi imprenditori tecnologici che si sono schierati con Trump. Dietro ci sono anche Peter Thiel, co-fondatore di PayPal insieme a Musk, oggi considerato una delle voci più critiche del liberalismo in voga nella Silicon Valley. Tra i suoi tanti investimenti c’è anche Facebook e soprattutto Palantir, società di sorveglianza dati che, come scritto poc’anzi, ha contratti con l’esercito americano. Sebbene volesse restare fuori dalla politica per sua stessa ammissione, si è speso molto per JD Vance, da ieri nominato vice presidente qualora The Donald vincesse le elezioni. Oltre a Thiel ci sono poi David Sacks e Chamath Palihapitiya, co-conduttori del podcast All-In, entrambi presenti alla raccolta fondi per Trump organizzata a San Francisco. A sostenerlo sono anche il fondatore del browser Netscape, precursore di Internet Explorer, Marc Andreesen, e il suo collega d’affari Ben Horowitz. Anche i gemelli Cameron e Tyler Winklevoss hanno contribuito finanziariamente al Super Pac trumpiano. L’asse del mondo tecnologico americano si sta spostando sempre più verso destra.

×

Iscriviti alla newsletter