Intervista all’ambasciatore Alessandro Minuto-Rizzo, già vice segretario generale della Nato, che ha commentato le prospettive dell’Italia sul budget per la Difesa – dobbiamo investire di più – e sul fianco Sud – dobbiamo cercare sinergie con gli altri Paesi mediterranei e ricordarci dei partenariati del passato
Manca sempre meno al vertice Nato di Washington: i capi di Stato e di governo dei 32 Alleati si riuniranno nella capitale statunitense per discutere del futuro dell’Alleanza. Come sottolineato dal segretario generale, Jens Stoltenberg, le priorità saranno il sostegno all’Ucraina, il rafforzamento della deterrenza e le partnership globali. Nel 75esimo anniversario della Nato, il summit di Washington dovrà essere seguito con attenzione.
Insieme al summit, si terrà pure il Nato Public Forum, l’occasione per la Nato di incontrare la società civile, che potrà essere seguito su Formiche.net, media partner italiano del Forum (dalle 15 di mercoledì 10 luglio, fino alla mezzanotte di giovedì 11). In previsione di questo appuntamento, Airpress ha intervistato l’ambasciatore Alessandro Minuto Rizzo, già vice segretario della Nato dal 2001 al 2007.
Ambasciatore, il dossier più scottante per l’Italia sarà il budget per la Difesa, quale potrebbe essere la nostra strategia in merito?
Per quello che riguarda il 2%, che mi sembra effettivamente il primo tema, io credo che l’Italia spiegherà che gradualmente cercheremo di avvicinarci, anche se ci sono delle difficoltà. Dall’altra parte, faremo presente che, a parte il contributo finanziario, l’Italia è presente in tutte le operazioni: non è un partner passivo della Nato, è un partner attivo, che dall’Afghanistan al dislocamento sul fianco Est, ha sempre fatto tutto quello che doveva. Questo non vuol dire che non dovremmo spendere di più per la Difesa, però è una cosa che credo il governo italiano possa dire tranquillamente, e che probabilmente dirà, anche perché poi questo è un tema che, in previsione di un possibile Trump 2, è comunque bene mettere al sicuro.
Posto l’impegno che verrà rinnovato ed il contributo italiano, ha senso cercare sinergie con gli altri alleati che non sono arrivati all’obiettivo del 2%?
Sul dossier della spesa ognuno gioca da solo, quindi è difficile avere sinergie. Ognuno ha il proprio Parlamento e la propria spesa, quindi non è semplice creare una proposta accomunandoci, per dire, agli spagnoli, perché abbiamo storie diverse e Forze armate diverse. Il Parlamento italiano dovrebbe ogni anno assegnare qualcosa di più alla Difesa, questo è il tema.
Ci sono delle differenze tra come gli Alleati calcolano il budget. Il nostro sarà all’1,5%, ma è un budget Difesa; qualcun altro può arrivare al 2%, ma ha un budget Difesa e Sicurezza. Si tratta di una carta diplomatica che l’Italia potrebbe usare, magari solo a porte chiuse?
Io mi augurerei che l’Italia si adeguasse. Certamente, non si può cambiare una cosa per un’altra, ma la maniera in cui si presentano i titoli di spesa ha il suo peso: se, per fare un esempio, consideriamo la Protezione civile come legata alla Sicurezza allora potremmo inserire quelle spese nel nostro budget. Questo anche perché non ci sono molte altre strade da percorrere: la regola non scritta della Nato è di evitare attacchi agli Alleati. Nel complesso, quindi, non potendo puntare il dito verso budget “gonfiati”, potremmo adeguarci in modo più discreto.
Se sugli investimenti per la Difesa si tratta di giocare di rimessa, la priorità attiva italiana è il fianco Sud. Come potremmo muoverci?
Innanzitutto, bisogna fare il punto su quello che è successo l’anno passato: il vertice di Vilnius dello scorso anno ha incaricato il Consiglio atlantico, il Nac, di preparare delle proposte per presentare al vertice di Washington una rinnovata attenzione al Sud (un sud, peraltro, che non è specificato benissimo, essendo Medio Oriente, Nord Africa, Sahel). Poi, però, Stoltenberg, nel novembre scorso, ha nominato un gruppo di esperti, il quale ha poi elaborato un rapporto. Il fatto, pertanto, è che il rapporto manca dell’ufficialità del Consiglio atlantico.
Giustissimo, ma torniamo a Washington…
Non credo che a Washington ci potrà essere un dibattito approfondito sul Sud, perché, in conseguenza a quanto appena detto, mi sembra che la materia sia stata toccata, ma non in maniera esaustiva e completa. C’è per esempio una proposta di avere un inviato speciale per il Sud, può darsi che questa venga presentata a Washington, ma è una singola misura specifica. Sulle questioni generali, la mia impressione è che a Washington si rinvierà ulteriormente, forse nuovamente al Consiglio Atlantico, una continuazione dell’esame da fare per il Sud.
Questo, ovviamente non ci lascerebbe particolarmente contenti, e non saremmo i soli, giusto?
Effettivamente la partita non è chiusa, e, comunque, è un tema molto attuale e rilevante. Credo che l’Italia dovrebbe cercare anche di allearsi con la Spagna, con la Grecia, con il Portogallo, i Paesi più vicini a noi, che hanno più o meno la stessa sensibilità politica.
In questi Paesi mediterranei ci mettiamo anche la Francia? La strategia francese potrebbe cambiare alla luce del tramonto della Francafrique, vedesi offensiva russa?
La Francia ha sempre giocato in maniera strana in queste cose: non è che non riconosca l’importanza del sud, la Francia è anche in parte un Paese mediterraneo, però è sempre molto ambigua se deve farla la Nato o altri (ed il fatto è che non ci sono gli altri, ma solo la Nato). Mi auguro che il nuovo quadro geostrategico possa far rivalutare ai francesi il loro tradizionale approccio autonomo. Per adesso, hanno al massimo chiesto l’assistenza dell’Ue, o anche dell’Italia, ma sempre in funzione complementare. Bisogna riconoscere che questo ha smesso di portare frutti a Parigi, e, se potessi consigliarla, direi di giocare la carta multilaterale al 100%, perché è l’unica che può dare risultati.
Al di là delle sinergie coi Paesi mediterranei, c’è altro da considerare per il fianco Sud?
Assolutamente sì. Dobbiamo ricordarci che in passato la Nato aveva due partenariati: il Mediterranean dialogue e l’Istanbul Cooperation Initiative (ICI). Erano partenariati a tutto tondo, oltre la dimensione militare, con attività concrete, con incontri, con una serie di contenuti: non era semplicemente avere una persona che si occupasse di “Sud”, avevamo un migliaio di attività ogni anno. Soprattutto con Stoltenberg, complice senz’altro l’aggressività russa dalla Crimea in poi, ce ne siamo un po’ dimenticati, ma si tratta di strutture da riscoprire e di modelli validi da studiare.