L’effetto Orbán ha anche degli aspetti positivi, commentano riservatamente i vertici europei e dell’alleanza atlantica perché rivela le vere intenzioni di Putin. L’analisi di Gianfranco D’Anna
Nothing of Orbán is thrown away, di Viktor “Orbán non si butta nulla”, neanche la visita a Vladimir Putin, commentano beffardi a Bruxelles, al Parlamento europeo e al quartier generale della Nato. Dietro la collera e i commenti al vetriolo per il maldestro tentativo del premier ungherese di coinvolgere l’Unione europea per accreditare la sfacciata strategia del Cremlino di parlare di pace e di continuare a invadere l’Ucraina, si cela infatti la constatazione che l’iniziativa ricompatta l’Europa dopo le lacerazioni post-elettorali e rilancia l’azione dell’Alleanza atlantica a sostegno di Kyiv.
“Il volo di Viktor a Mosca assomiglia molto a quello fuori dalla realtà di Rudolf Hess, il delfino di Adolf Hitler che mentre i nazisti mettevano a ferro e fuoco il continente tentò di trattare la pace con l’Inghilterra”, ricordano gli storici. La conferma dell’effetto contrario della mossa a sorpresa del premier ungherese viene dall’accoglienza riservatagli da Putin che involontariamente lo ridicolizza: “A quanto capisco, lei é arrivato a Mosca anche come presidente di turno del Consiglio dell’Unione europea e non solo come partner della Federazione russa”, afferma il presidente russo, mentre il leader di Budapest, si affanna a definire “speciale” il loro incontro. Con Putin che rincara la dose precisando di aspettarsi uno scambio di opinioni anche sulle questioni bilaterali. Un incontro pirandelliano che avviene “su iniziativa ungherese”, specifica Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, citato dalla Tass.
Concretamente la “fuga moscovita” di Orbán, come viene definita nelle capitali europee, non ottiene alcunché, ma acuisce solo l’isolamento di Budapest e dimostra la buona fede del presidente ucraino Volodymyr Zelensky che aveva accettato di incontrare il presidente di turno del Consiglio dell’Unione europea alla vigilia del viaggio a Mosca per ribadire l’esigenza di una “pace giusta”, cioè con la ritirata dell’armata russa dai territori occupati.
Al Cremlino appena Orbán ha accennato all’eventualità di un cessate il fuoco in Ucraina per facilitare l’apertura di negoziati, Putin ha risposto di essere contrario perché la Russia vuole “una piena e definitiva conclusione del conflitto”.
Controproducente ed effimera, l’iniziativa ungherese mette a nudo la subalternità del premier nei confronti della Russia, ma rinsalda notevolmente l’alleanza euroatlantica. Dal 9 all’11 luglio, i capi di Stato e di governo della Nato si riuniranno a Washington per il vertice annuale dell’Alleanza. Sarà l’occasione per celebrare i 75 anni della Nato, baricentro della sicurezza europea e per parlare delle prospettive a cominciare dal sostegno a Kyiv. Jens Stoltenberg, che il primo ottobre passerà le consegne al nuovo segretario generale, Mark Rutte, ha colto al volo l’autogol di Orbán per sottolineare che la Nato è fermamente determinata a garantire che l’Ucraina possa prevalere contro l’aggressione russa. Per questo motivo, aggiunge Stoltenberg, ci si aspetta che i leader dell’Alleanza concordino su un nuovo pacchetto sostanziale di aiuti per Kyiv. Gli alleati dovrebbero fornire ulteriori sistemi di difesa aerea, munizioni e altri tipi di armamenti, mentre sarà varata una nuova interoperabilità militare con l’attivazione in Polonia di un Centro congiunto di analisi, formazione e istruzione Nato-Ucraina.
Un vertice, quello di Washington, durante il quale Orbán avrà tutti gli occhi addosso e suo malgrado svolgerà un ruolo di aggregatore: sarà utilizzato come quinta colonna di Putin per fare sapere al Cremlino quello che la Nato gli vorrà far credere e rappresenterà plasticamente tutto quello che l’Europa e la Noto non vogliono essere e non saranno mai.