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Quo Vadis, Biden? La questione della ricandidatura divide i democratici

Dopo il fallimentare dibattito presidenziale, in molti si sono schierati a favore del rimpiazzo di Biden nella corsa presidenziale. Ma il presidente tiene duro. E non è solo

Negli Stati Uniti, l’opinione pubblica democratica è spaccata a metà sulla ricandidatura dell’attuale presidente Joe Biden. Quello che fino a pochi giorni fa era soltanto una specie di dubbio velleitario espresso da una minoranza sparuta di possibilisti si è brutalmente trasformato in una questione centrale dopo il dibattito televisivo del 27 giugno tra l’inquilino della Casa Bianca e il candidato repubblicano (nonché suo predecessore) Donald Trump: la kermesse televisiva ha infatti reso evidente come l’età avanzata di Biden rappresenti un ostacolo di non poco conto per l’amministrazione della prima potenza mondiale, riducendo così anche le sue possibilità di vittoria nella competizione elettorale prevista per il prossimo novembre.

Nei giorni successivi al dibattito, numerose voci di spessore si sono levate per chiedere al presidente in carica di fare un passo indietro. Senza fare ricorso a toni diffamatori, ma anzi lodando e ringraziando Biden per il suo operato durante gli ultimi quattro anni. Ma comunque chiedendogli di rinunciare alla sua candidatura. In un editoriale pubblicato dal Washington Post Adam Frisch, candidato al congresso in Colorado per il Partito Democratico, ha auspicato un ritiro della candidatura di Biden come un segnale di apertura verso “una nuova generazione di leader americani”, che non avrebbe toccato soltanto i democratici ma anche gli avversari repubblicani: “Biden si è candidato nel 2020 come leader di transizione per la prossima generazione. Quando ha annunciato una campagna per la rielezione nel 2023, ho dichiarato pubblicamente di far parte di quel 75% di persone nel Paese che non sarebbe stato contento di una rivincita. Entrambi i partiti hanno scranni profondi. Per il bene del nostro Paese, è ora di metterli in evidenza”.

Su posizioni simili si è schierato anche il commentatore politico David Ignatius, che si è rivolto alla cerchia più stretta del Presidente, dalla moglie Jill Biden al consigliere politico Mike Donilon e all’ex chief of staff Ron Klain, di convincere Biden ad accettare la realtà dei fatti e a fare un passo indietro per facilitare una transizione “inevitabile” che potrebbe essere più o meno dolorosa.

Questo trend non si ferma qui, ed include nomi del calibro di Thomas Friedman, Nick Kristof e Maureen Dowd. L’Editorial Board del New York Times ha chiesto ufficialmente a Biden di abbandonare la corsa presidenziale. Mentre l’Economist si è spinto oltre, mettendo in copertina un deambulatore con sopra il simbolo della Presidenza degli Stati Uniti accompagnato dalle incisive parole “No way to run a Country”. Il mantra di tutti è chiaro. Biden deve lasciare.

C’è solo un problema: Joe Biden non sembra affatto intenzionato a farlo. Lo ha riasserito poche ore fa, a chiare lettere, all’interno di una campagna mail per la raccolta fondi: “I’m running”. E nella sua determinazione a continuare nella corsa per la rielezione, il Presidente non è solo. A sostenerlo in questa decisione ci sono infatti sia l’entourage familiare e politico più stretto (lo stesso a cui Ignatius ha chiesto di convincerlo a fare un passo indietro), ma anche l’establishment del suo partito. I governatori democratici si sono infatti schierati compatti a sostegno di Biden.

La questione, non che ci fossero dubbi, continua a farsi sempre più spinosa. E in una simile situazione, soltanto uno sorride compiaciuto: Donald Trump.


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