In attesa della reazione di Israele all’attacco di Majdal Shams, le diplomazie internazionali cercano di evitare il peggio al confine libanese. Dialoghi che passano anche dall’incontro di oggi tra intelligence a Roma
Secondo fonti delle Israeli Defense Forces, il missile finito sui civili di Majdal Shams, nelle Alture del Golan controllate da Israele, e che ieri nel tardo pomeriggio ha fatto una strage di civili (compresi diversi bambini che giocavano in un campo da calcetto) è stato sparato da Hezbollah. È stata fornito ai giornalisti anche una ricostruzione del tragitto di lancio (con tanto di mappa): il razzo, un Grad, è partito da un’area attorno Cheeba, poco a nord, all’interno del confine libanese. Hezbollah nega, sostiene che è colpa di Israele: a produrre quanto successo sabato pomeriggio sarebbe stato un vettore intercettore dell’Iron Dome che avrebbe fatto cilecca.
Il primo elemento è: chi ha ragione? Hezbollah è una milizia terroristica inaffidabile, parte del cosiddetto Asse della Resistenza finanziato dai Pasdaran, portatrice di un messaggio jihadista sciita antisemita e anti-occidentale. Tuttavia, in questo caso c’è il contesto precedente: solitamente i libanesi non attaccano quelle aree perché sono abitate dai drusi, una minoranza etnoreligiosa che non vuole vivere sotto Israele ed è protagonista di tensioni sociali (dunque non vogliono inimicarsela). Sono loro le vittime, che però va detto si trovano sulla direttrice di una base militare israeliana che i libanesi avrebbero potuto colpire. Di più: quasi mai i missili dell’Iron Dome producono quel genere di danno. Può succedere che componenti dopo un’intercettazione cadano e colpiscano qualcosa o qualcuno (abbastanza raro comunque), ma non che esplodano a terra (sono proprio costruiti per evitare questo).
Sin dal 7 ottobre scorso, quando l’assalto di Hamas diede inizio all’attuale stagione di guerra, il partito/milizia libanese rivendica ogni giorno attacchi contro lo stato ebraico. Ma stavolta no. E forse Hezbollah prende distanza perché si rende conto che stavolta il rischio è enorme, e potrebbe significare aprire una nuova fase della guerra, l’espansione — da sempre temuta — alla fascia settentrionale, che potrebbe coinvolgere anche il Libano.
Se finora questo non è successo è soltanto grazie a varie forme di negoziazione e gestione della crisi a cui hanno partecipato diversi attori internazionali. Se anche stavolta si eviterà il peggio, mentre Israele progetta la reazione e il premier Benjamin Netanyahu torna in anticipo di qualche ora da Washington, sarà di nuovo per una serie di attività diplomatiche messe in piedi da più parti — e perché il calcolo politico valuta che sia giusto ascoltarle. Per esempio, si sa che sta lavorando con estrema intensità Unifil (la missione onusiana che monitora l’area di contatto al confine, fondamentale anche perché la guerra tra Israele e Hezbollah non è mai stata pacificata dall’ultimo scontro su ampia scala del 2006).
Si sa anche che Netanyahu avrebbe ricevuto via libera dagli Usa per colpire alcuni obiettivi dí Hezbollah, ma non certo ad aprire un nuovo fronte (ossia Washington consiglia di agire come fatto durante tutti questi dieci mesi). È possibile che parte delle discussioni sulla situazione avvengano anche a Roma, che oggi ospita i capi delle intelligence di Stati Uniti, Qatar, Egitto e appunto Israele per discutere del cessate il fuoco a Gaza — con il governo Netanyahu che ha fatto delle rettifiche alla proposta messa sul tavolo dalla Casa Bianca, prima dell’attacco a Majdal Shams.
Hezbollah sostiene di voler combattere finché Israele non libererà Gaza e quella ipotetica liberazione passa, anche se ancora da lontano, dal cessate il fuoco di cui si discute nella capitale italiana in queste ore. È per questo che i due dossier si legano. Inoltre è stato suggerito che anche il tema “Iran” viene trattato in qualche modo, in qualità di dante causa più o meno indiretto. Rispetto al programma dell’incontro, la questione si complica ulteriormente, perché ci si sta muovendo sul filo di un equilibrio instabile. Il rischio è che la coincidenza di interessi nel continuare la guerra tra tutti gli attori coinvolti porti a una deriva. L’Italia, formalmente non coinvolta nelle discussioni odierne purtuttavia Paese ospitante e dunque presente, in questo può spendere il suo ruolo di attore dialogante, abile su tutti i fronti. Soprattutto quello libanese — dove i militari italiani hanno per anni guidato Unifil con risultati eccezionali riguardo alla gestione delle tensioni.
“Da ieri sto seguendo e monitorando la situazione nel sud del Libano, in continuo contatto con il Capo di Stato Maggiore della Difesa, amm. [Giuseppe] Cavo Dragone, il Comandante operativo interforze, gen. [Francesco] Paolo Figliuolo ed il direttore dell’Aise, gen. [Giovanni] Caravelli”, ha dichiarato il ministro della Difesa, Guido Crosetto. ”Esprimo profonda preoccupazione per le recenti e sempre più gravi tensioni in Libano, tra Israele ed Hezbollah. Tensioni salite pericolosamente di intensità dopo il barbaro attentato di ieri, a Majdal Shams, che ha colpito, ucciso e ferito ragazzi inermi su un campetto di calcio”.
Per Crosetto, la preoccupazione per un ulteriore peggioramento della situazione al confine tra Libano ed Israele, della possibilità di un nuovo fronte di guerra in una regione martoriata da decenni, si sovrappone a quella per la sicurezza del personale italiano ed internazionale impegnato nella missione Onu, Unifil. “Il contingente italiano continuerà ad operare con dedizione, per evitare che ciò accada, secondo i principi del diritto internazionale.
Da mesi sto chiedendo ai vertici delle Nazioni Unite di ragionare sui risultati raggiunti dalla missione e sulla necessità di cambiare le regole di ingaggio e ridefinire una strategia”.
“Oggi il tempo è scaduto — chiosa il ministro — e siamo di fronte ad una nuova urgenza che non consente di perdere tempo. La comunità internazionale tutta deve applicare la risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza. È l’unico modo di prevenire una devastante guerra anche in Libano”. La risoluzione, sintentizzando, prevede una fascia totalmente disarmata tra la Linea blu ed il Fiume Litani, solo Unifil e le Forze armate Libanesi posso portare armi: “In questi anni così non è stato. Ora non si può più far finta di nulla”, conclude.