Il viaggio del presidente ungherese in Russia sta facendo discutere e divide gli animi. Il fronte degli “amici” dello zar anche su scala internazionale sta crescendo. Ma se Orban riuscirà a mediare sul conflitto, il putinismo potrebbe essere fortemente indebolito. E potrebbe essere un bene anche per Giorgia Meloni e per l’Italia. Colloquio con Paolo Natale, docente di sociologia politica alla Statale di Milano
Si sapeva che la sua presidenza del Consiglio dei ministri europei non sarebbe stata come le altre. Ma il presidente ungherese Viktor Orban ha deciso di alzare il tiro e volare dallo zar Vladimir Putin. L’indignazione degli altri leader europei è stato pressoché corale. “Not in my name” si è sentito pronunciare da più parti. Nel frattempo, la sua nuova formazione in Ue – i Patrioti – incassa, dopo l’ingresso di Vox che ha lasciato l’Ecr, un altro dividendo: l’adesione del partito popolare danese. Il segretario del Carroccio, Matteo Salvini, ha già annunciato che nelle prossime ore aderirà a sua volta nel gruppo europeo. Sullo sfondo un contesto internazionale in cui i possibili allineamenti pro-Putin o per lo meno critici verso la linea prevalente in Occidente, si rafforzano. Il successo del Rassemblement National in Francia e la corsa per il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump. Ma “il viaggio di Orban in Russia potrebbe avere anche risvolti positivi sulla risoluzione del conflitto. E non è necessariamente un problema per l’Italia di Giorgia Meloni”. La pensa così Paolo Natale, docente di sociologia politica alla Statale di Milano che, a Formiche.net, offre una chiave interpretativa originale sulla missione del presidente ungherese e non solo.
Professore, l’irritazione dei vertici europei non ha fermato Orban, che è volato dal presidente russo Putin. Realisticamente, cosa pensa di ottenere?
L’atteggiamento sprezzante di Orban è ormai proverbiale. Il suo primo intendimento era quello di spiazzare la comunità internazionale e in qualche modo ci è riuscito. Parallelamente, anche in virtù del suo ruolo seppur temporaneo, il presidente ungherese intende rafforzare la sua immagine di interlocutore di Putin. Ma non solo in quanto tale, bensì come possibile mediatore per gettare le basi della risoluzione del conflitto. E, forse, qualcosa in questo senso può smuovere.
Trump in Usa, Le Pen e Bardella in Francia, il gruppo dei Patrioti sempre più attrattivi. Come stanno cambiando gli equilibri politici dell’asse sovranista?
Trump al momento mi pare l’unico che potenzialmente potrebbe vincere le elezioni. In Europa la situazione, invece, è molto più fluida e complessa. Se è vero che Macron e il macronismo sono in crisi è altrettanto vero che – nonostante l’affermazione elettorale – il 66% dei cittadini francesi non ha votato il Rassemblement National. E, tra l’altro, l’affermazione laburista nel Regno Unito è un elemento che depotenzia il dilagare delle forze sovraniste. Paradossalmente, penso che se l’operazione di Orban funzionerà il putinismo perderà vigore e adepti.
In questo contesto lei sostiene che per l’Italia di Giorgia Meloni non sia poi così distruttiva la missione del presidente ungherese. Perché?
Meloni e Orban hanno un’antica consuetudine. Ma, in questo momento, la nostra premier è impegnata a presentarsi in Europa nella sua veste migliore. Il che significa, necessariamente, prendere le distanze da alcune posizioni assunte in passato. Molto più simili a quelle del presidente Ungherese. Per cui, se quest’ultimo riuscisse a gettare le basi per una pace – seppur più sbilanciata verso gli interessi russi (la cessione di una parte del Donbass) – per Meloni potrebbe essere positivo.
A proposito di profilo europeo, cosa riuscirà a strappare il premer nelle trattative per le nomine?
Penso che alla fine riuscirà a strappare un buon risultato e un commissario con un portfolio significativo. Per diversi ordini di ragioni. Avere Paolo Gentiloni che media a favore del nostro Paese è un elemento fondamentale che aiuta a stemperare le tensioni dopo questo periodo nel quale, sostanzialmente, Ecr è stato tagliato fuori perché i partiti che lo compongono non hanno registrato quell’impennata di consensi che si aspettavano. D’altra parte, Meloni ha tutto l’interesse ad appoggiare un Von der Leyen bis. Per cui, presumo che otterremo comunque un buon risultato.
L’altra parte della barricata, il centrosinistra, come se la passa in questa fase?
Mi pare sia in alto mare. A fronte di un’affermazione interessante di Avs alle Europee, il Pd di Schlein si trova in una posizione di attendismo: aspettano di capire cosa succederà al Movimento 5 Stelle. L’elemento discriminante è sempre il leader o, meglio, la leaderizzazione del partito. Se il Movimento si trasformerà definitivamente nel partito di Conte sorgeranno diversi problemi per l’ipotesi di un’alleanza alternativa al centrodestra. Se, al contrario, diventeranno un partito progressista – magari sempre guidato da Conte – ma non eccessivamente leaderistico, allora forse qualche margine di collaborazione in più ci potrà essere.