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SearchGPT è l’ultima invenzione di OpenAI e una sfida aperta a Google

Lo strumento sarà in grado di rispondere come un qualunque chatbot, aggiungendo anche le fonti da cui prende le informazioni. Farà certamente concorrenza a Big G e al suo AI Overview, che presenta funzioni simili. Ma da rassicurare ci sono anche gli editori delle testate giornalistiche

L’ultima sfida di OpenAI a Google si chiama SearchGPT. È il nuovo motore di ricerca che l’azienda di Sam Altman sta testando, come ha annunciato giovedì, per avvicinarsi a quella di Sundar Pichai. Questo nuovo chatbot, che inizialmente sarà a disposizione solo per un numero di utenti limitato, non soltanto fornirà le risposte che gli vengono chieste, ma provvederà anche a indicare le fonti “chiare e pertinenti” delle informazioni trovate online grazie agli elementi di intelligenza artificiale generativa di GPT-4. Ci sarà anche una barra laterale con alcuni link aggiuntivi relativi a informazioni simili.

L’obiettivo, spiegano dall’azienda, è di facilitare la ricerca su Internet. “Riteniamo che migliorando le capacità conversazionali dei nostri modelli con informazioni in tempo reale dal web, trovare ciò che state cercando può essere più rapido e semplice”. Per adesso SearchGPT verrà testato a parte, ma l’idea è quella di integrarlo in ChatGPT. Non solo questo, hanno aggiunto da OpenAi, ma “i migliori elementi”. SearchGPT “è progettato per aiutare gli utenti a connettersi con i creatori di contenuti citando e includendo in modo visibile collegamenti” ai siti.

In questo modo avrebbe un funzionamento molto simile a quello di AI Overviews, presentato due mesi fa da Big G, padrone assoluto dei motori di ricerca nonostante alcune problematiche nelle risposte che avevano portato l’azienda a bloccare alcune funzionalità (il chatbot aveva dato risposte sbagliate quando non inventate, come quella che l’ex presidente americano Barack Obama era musulmano). Non è l’unico campo in cui il colosso di Mountain View viene messo sotto pressione. OpenAI è convinta che il suo nuovo chatbot sarà in grado di rafforzare le inserzioni, visto che potrebbe contenere annunci pubblicitari, un business model già utilizzato da Google.

La sfida ha delle ripercussioni dirette. Alphabet, società madre di Google, ha perso giovedì il 2,99% alla Borsa di New York, che sommato a oltre il 5% del giorno prima diventa una caduta piuttosto rumorosa.

Come ormai ogni strumento tecnologico, anche SearchGPT si porta però dietro problematiche e quindi critiche. I primi utilizzatori sono gli editori e giornalisti, gli stessi che sono tra i più scettici. Il motivo arriva, ad esempio, da quanto accaduto con Perplexity – creata da OpenAI su cui poi ha investito molto anche Jeff Bezos – che il mese scorso aveva ripreso un articolo di Forbes senza però citarlo. Il timore è tutto qui, si fa per dire. Nel mondo dell’informazione c’è la paura che con questi chatbot, in grado di dare risposte immediate, gli utenti non andranno più a ricercare le notizie sui giornali ma si accontenteranno di una sintesi completa di tutto ciò che c’è da sapere, con al massimo qualche link per i più curiosi.

Per provare a sfidarle sul loro stesso terreno, alcune testate hanno provato a muoversi in autonomia. Come nel caso del Washington Post, che ha recentemente sviluppato e lanciato il proprio chatbot Climate Answers, un’interfaccia basata su IA che risponde alle domande dei lettori prendendo le informazioni dagli articoli del WP. “Il nostro obiettivo non è quello di sostituire il ruolo cruciale svolto dai nostri giornalisti”, hanno spiegato dal giornale, “ma di offrire ai lettori nuovi modi di interagire con il lavoro che abbiamo già pubblicato”.

Per fugare le preoccupazioni, OpenAI si è confrontata con gli editori per capire come meglio utilizzare le notizie pubblicate nelle risposte del chatbot, lasciando spazio alla gestione dei contenuti. “Ci aspettiamo di scoprire di più sul comportamento degli utenti”, premettono dall’ex start-up. Ma tra gli editori c’è anche una certa reticenza nei confronti delle aziende tecnologiche, dopo il passato burrascoso con Facebook e proprio Google, che hanno spesso cambiato le regole d’ingaggio. Solo negli ultimi dodici mesi, OpenAI ha chiuso accordi con Politico, Axel Springer (che detiene Business Insider), Associated Press, Le Monde, Financial Times. Anche la proprietaria del Wall Street Journal, News Corp, ha stretto una partnership di licenza.

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