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Così la sicurezza alimentare europea è minacciata dal fertilizzante russo

L’afflusso di fertilizzanti russi a basso costo (grazie al calo del prezzo interno del gas) rischia di buttare fuori dal mercato i produttori europei. Rendendo il blocco dell’Unione vulnerabile sul lato della food security

Il confronto economico tra l’Europa e la Russia passa anche attraverso la dimensione del fertilizzante, su cui adesso si stanno concentrando le attenzioni e i timori di Bruxelles: un’ondata di fertilizzanti “made in Russia” a basso costo rischia di costringere i produttori europei ad uscire dal mercato europeo (e non solo), con gravi ricadute sicurezza alimentare a lungo termine dell’Europa.

“In questo momento siamo inondati da fertilizzanti provenienti dalla Russia, che sono significativamente più economici dei nostri fertilizzanti, per il semplice motivo che pagano le noccioline per il gas naturale rispetto a noi produttori europei”, ha dichiarato al Financial Times l’amministratore delegato di Skw Stickstoffwerke Piesteritz (il più grande produttore tedesco di ammoniaca) Petr Cingr.

Il forte rallentamento delle esportazioni di gas naturale verso il blocco occidentale (e in particolare l’Unione Europea) seguito all’invasione su larga scala dell’Ucraina nel febbraio del 2022 ha avuto tra le conseguenze un aumento nelle quantità del gas disponibile sul mercato domestico russo, aumento che ha portato ad un abbassamento nel prezzo. Il più basso costo del gas, materia prima impiegata nella produzione di fertilizzante, ha permesso di abbassare i prezzi di questi ultimi, rendendoli estremamente competitivi sul mercato internazionale. Nel caso di alcuni tipi di fertilizzanti specifici, come l’urea, le importazioni europee sono addirittura aumentate dal febbraio del 2022.

Ma se da un lato i fertilizzanti a basso costo hanno aiutato gli agricoltori europei, dall’altro i produttori di fertilizzanti della regione hanno faticato a competere. “Se i politici non agiranno al riguardo ha avvertito, la capacità produttiva europea scomparirà”, è stata l’ammonizione lanciata da Cingr. Pochi mesi prima anche Svein Tore Holsether, amministratore delegato di Yara International (uno dei maggiori produttori mondiali di fertilizzanti minerali a base di azoto) si era esposto al riguardo ricorrendo a toni molto simili, affermando che l’Europa stesse “camminando nel sonno” verso la dipendenza dai fertilizzanti russi.

L’esperto di sicurezza alimentare presso il think thank Chatham House, Tim Benton, denota come già da prima della guerra la situazione fosse difficile per il settore produttivo dell’Unione Europea, ma che dopo l’inizio della guerra siano entrati nel computo altri tipi di fattori, sottolineando come, poiché il mondo diventa sempre più “conteso e conflittuale”, l’attenzione dell’Europa potrebbe doversi spostare dall’efficienza del mercato alla sicurezza della supply chain. “Qual è il rischio per la nostra sicurezza alimentare? E dovremmo quindi pagare un premio di assicurazione sul rischio incoraggiando l’industria locale a [sopravvivere] in periodi in cui non è competitiva a livello globale?”.

Intanto, i grandi operatori europei del settore hanno iniziato a cedere. Basf, il più grande gruppo chimico del mondo, negli ultimi anni ha ridotto le sue attività in Europa, compresa quella dei fertilizzanti, per concentrare i nuovi investimenti negli Stati Uniti e in Cina, dove i costi sono più bassi. E Skw sta negoziando un’opzione per l’installazione di una linea di ammoniaca negli Stati Uniti, dove “possiamo essere riforniti di gas naturale molto meno costoso, di elettricità molto meno costosa e possiamo essere sovvenzionati attraverso la legge sulla riduzione dell’inflazione”, ha dichiarato Cingr.

Senza produzione in territorio europeo, il blocco rischia di diventare ancora più dipendente dalle importazioni da altri Paesi, principalmente non democratici, come la Russia e la sua alleata Bielorussia. E con una tale influenza sulla produzione alimentare europea, non è da escludere che Putin possa sfruttare la questione come leva di influenza nei confronti di Bruxelles.

 

 

 

 



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