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Lo zelo della Commissione sul clima avvicina l’Europa alla Cina mentre Trump… La versione di Torlizzi

A Milwaukee Trump ha illustrato quelle che saranno le prossime direttrici della politica economica degli Stati Uniti nel caso di una vittoria repubblicana alle prossime elezioni. Tra i capisaldi il più importante è un approccio protezionistico che prenderà forma attraverso l’inasprimento dei dazi alle importazioni. Ed è un cambio di paradigma importante. “Il voto di Meloni? Perseguire il programma illustrato da von der Leyen è pesantemente contro l’interesse non solo italiano, ma europeo”. Conversazione con Gianclaudio Torlizzi, fondatore di T-Commodity e consigliere del ministro della Difesa

Dalla convention repubblicana in corso a Milwaukee, sia il candidato presidente Donald Trump che il suo vice J.D. Vance concorrono a dettare la linea del loro ticket presidenziale, linea che si colloca in diretta contrapposizione con quella dell’attuale presidenza, soprattutto riguardo ai temi energetici. Quali sono le ricadute interne? E quelle internazionali, specialmente nel rapporto con gli alleati? Per rispondere a queste domande Formiche.net ha raggiunto Gianclaudio Torlizzi, fondatore di T-Commodity e consigliere del ministro della Difesa.

Che cosa emerge dalle parole del candidato repubblicano, e da quelle del suo vice designato, pronunciate alla convention repubblicana?

A Milwaukee sia Trump sia Vance, in due discorsi separati, hanno illustrato quelle che saranno le prossime direttrici della politica economica degli Stati Uniti nel caso di una vittoria repubblicana alle prossime elezioni. Questa politica si articola su alcuni capisaldi, tra cui il più importante è un approccio protezionistico che prenderà forma attraverso l’inasprimento dei dazi alle importazioni. Ed è un cambio di paradigma importante, perché la dottrina Trump/Vance è quella di utilizzare il protezionismo come strumento per favorire il maggior benessere di quella classe media che negli ultimi decenni anche ha maggiormente pagato il processo di globalizzazione economica. E qui emerge una netta differenza tra il populismo “trumpiano” e quello “di sinistra”: quest’ultimo considera fondamentalmente il capitalismo come “immorale”, quindi intende perseguire una redistribuzione contestando le leggi stesse del capitalismo; al contrario, il populismo trumpiano considera il capitalismo non “immorale” ma “amorale”, quindi chi si arricchisce non viene visto con invidia, e non si deve promuovere una ridistribuzione dall’altro, ma (ri)creare le condizioni che permettano un (nuovo) arricchimento dal basso. Vance ha evidenziato molto bene questo differente approccio al capitalismo. E credo che quello di Trump e Vance avrà molta più presa sull’elettorato americano. Questo approccio ha però delle implicazioni.

Ovvero?

Il protezionismo rischia di essere anche un processo inflazionistico. Trump mirerà ad annacquare la componente inflazionistica in due maniere. La prima è abbassando i costi energetici, aumentando le concessioni per le trivellazioni di idrocarburi come già annunciato, e probabilmente cercando di utilizzare la leva diplomatica, anche grazie ai suoi buoni rapporti con Bin Salman. La seconda è ovviamente il ricorso ai tagli fiscali. Questi tagli però rischiano di creare un ulteriore aumento debito federale americano, che Trump vorrebbe mitigare nel breve termine facendo pressione sulla Federal Reserve affinché non alzi i tassi di interesse, a fronte dei nuovi rischi inflazionistici che emergeranno nel 2025. Queste sono le tre gambe su cui poggia la dottrina trumpiana, che è una dottrina fortemente ambiziosa perché intende ristrutturare fortemente il business model dell’economia americana, processo molto interessante, ma di difficile esecuzione. Staremo a vedere.

Dal discorso del tycoon sembra che il suo programma vada proprio in direzione opposta rispetto a quello declinato ieri da von der Leyen. Cosa ne pensa?

L’intenzione dichiarata di re-industrializzare l’America sottolinea con nettezza il crescente divario con l’impostazione della prossima Commissione Europea, che è tornata ad abbracciare le politiche climatiche, ignorando i segnali che erano arrivati dalle elezioni europee. È presumibile quindi che il primo terreno di scontro tra Europa e Stati Uniti sarà proprio sui dazi. Perché gli Stati Uniti intendono non solo innalzare fortemente i dazi nei confronti della Cina e del Messico, accusato di essere utilizzato da Pechino come veicolo di triangolazione produttiva, ma anche, apparentemente, di promulgare universal tariff del 10%. Come abbiamo visto in passato, Trump a volte minaccia un provvedimento per arrivare al tavolo negoziale con maggiore potere, e Trump farà valere sicuramente questa minaccia per mitigare la tendenza europea a mantenere molto stringenti i target climatici. C’è però da notare una cosa.

Cosa?

Che il primo segnale emerso dall’Europa è quello di un crescente avvicinamento a Pechino: il programma della von der Leyen sembra infatti essere uno di allontanamento dagli Usa e di avvicinamento alla Cina. Perché se dopo tutti questi anni la Commissione non ha assimilato il concetto che è impossibile perseguire zelanti target climatici se non hai controllo sulla logistica delle materie prime, la decisione di continuare su questa strada significa che la Commissione intende mantenere molto forti e molto stretti i legami con la Cina. E questo la porrà in una situazione di forte contrapposizione con Washington. Una decisione stupida dal punto di vista commerciale, dato il surplus commerciale che l’Europa ha negli Stati Uniti, e dati i segnali che arrivano dalla Cina di voler continuare ad essere una piattaforma produttiva legata all’export e di non voler sostenere i consumi interni.

Non la sento molto ottimista riguardo al futuro dell’Europa…

Lo scenario per l’Europa è particolarmente tetro nei prossimi mesi. Anche perché le pressioni inflazionistiche rimangono strutturalmente elevate, cosa che impedirà alla Bce di tagliare i tassi oltre il livello “cosmetico”. Inoltre non esiste una politica industriale europea, e soprattutto non si è parlato di iniziare a preparare il terreno per dotare la Bce di strumenti maggiori per favorire appunto il necessario aumento delle spese nella difesa, nelle infrastrutture energetiche e nella logistica. Cosa che ci si aspettava da un discorso come quello di ieri, che teoricamente avrebbe dovuto essere un discorso da statista. Ma niente di tutto questo è stato menzionato. Questo è un mantenimento dello status quo, che porta l’Ue a schiantarsi direttamente conto un muro. Ci sono alcuni che hanno criticato la decisione della Presidente del Consiglio Meloni di non votare questa nuova Commissione, definendo questa scelta “contro l’interesse italiano”. In realtà è pesantemente contro l’interesse non solo italiano, ma europeo perseguire il programma illustrato dalla von der Leyen.

In questa situazione, come dovrebbe muoversi Roma?

Sul piano italiano, dopo gli avvenimenti di ieri emerge con ancora maggiore nettezza l’urgenza di impostare una politica industriale da parte del governo. Tale politica industriale, a mio avviso, dovrebbe puntare su sussidi che favoriscono l’aggregazione tra imprese presenti all’interno di dimensioni specifiche. Siamo in un momento in cui il motore tedesco è in panne poiché sono saltati i pilastri su cui poggiava, cioè gas russo a basso costo e logistica cinese. L’Italia può, e deve, smarcarsi da quel ruolo di subfornitore dell’industria tedesca, facendo un passo in avanti e andando ad approcciare direttamente il mercato finale. Ma per farlo, ha bisogno di creare maggiori economie di scala. E dato che noi siamo ricchi di imprese piccole e medie che producono utili, queste imprese dovrebbero essere spinte ad aggregarsi per diventare concorrenti dirette delle imprese tedesche.  Questo dovrebbe essere il primo passaggio di politica industriale, in vista poi di “Industria 5.0”. Ed è imperativo farlo, perché dobbiamo fare i conti con una Commissione Europea che mantiene una fortissima posizione anti-industriale. E quindi dobbiamo mitigare questo rischio mettendo in condizione le nostre imprese di essere competitive a livello globale anche attraverso partnership bilaterali o trilaterali con specifici Paesi a livello di singoli dossier. Come abbiamo fatto, ad esempio, con il Programma Gcap.

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