Attraverso un susseguirsi di interventi, esponenti di spicco della comunità atlantica delineano quali siano i fattori che determinano l’approccio della Nato verso la Russia. Toccando anche questioni apparentemente esterne
Nel Nato Public Forum che si svolge a Washington in concomitanza con il summit dell’Alleanza Atlantica sono numerosi i temi affrontati durante i vari panel. Tra i tanti, ce ne sono alcuni particolarmente rilevanti per ovvie ragioni. Uno di questi è senza dubbio la postura dell’Alleanza Atlantica nei confronti della Federazione Russa. Questo argomento è stato affrontato, con lenti diverse, attraverso differenti dibattiti della kermesse, che hanno ne toccato alcuni capisaldi.
A partire dal fatto che la Federazione Russa continua ad essere una minaccia per l’Alleanza Atlantica. “Ogni strumento di potere in Russia è orientato alla guerra, dal sistema mediatico a quello educativo, arrivando a quello economico e a quello politico”, ha detto la ministra degli esteri lettone (nonché ex-Assistant Secretary General for Public Diplomacy dell’Alleanza) Baiba Braže, secondo la quale “in questo momento non c’è una minaccia diretta verso di noi, poiché la Russia sta combattendo in Ucraina, dove però sta apprendendo lezioni, e si sta adattando”. Così da essere più efficace in eventuali azioni future. Azioni future che sembrano quasi inevitabili. Verso le quali si deve però esercitare la massima deterrenza possibile. “Dobbiamo far capire a Putin che non accetteremo altre sue azioni, altrimenti continuerà sulla sua strada. Non siamo stati capaci di farglielo capire nel 2008, non siamo stati capaci di farglielo capire nel 2014, e credo che ci oggi ci siano grandi differenze rispetto al passato. E questo vuol dire che continuerà”, ha detto netto il ministro degli Esteri lituano Gabrielius Landsbergis. Motivo per cui ci dev’essere un piano di deterrenza strutturata per ogni tipo di evenienza, cosicché la prossima volta che pianificherà una qualsivoglia azione la Russia sia certa del fatto che ci sia già una risposta pronta ad essere rapidamente implementata dall’Alleanza.
Anche il ministro della Difesa lettone Andris Sprūds si fa fautore di un approccio simile, sottolineando ironicamente come “in Russia può cambiare tutto in cinque, dieci anni, ma non cambiare niente in cento. La Russia continua a mantenere un atteggiamento espansionista ed imperialista, a prescindere dal tipo di regime al potere”. Il plenipotenziario lettone promuove un approccio basato da un lato sull’essere coscienti di questa situazione, e dall’altro sull’evitare di sottovalutare la forza, non solo militare, dell’Alleanza, agendo da una posizione di forza rispetto a Mosca. “Cosa dovremmo fare sul piano pratico? Fare investimenti. Investimenti politici e investimenti finanziari, per migliorare il nostro apparato industriale della difesa, aumentare la resilienza, rafforza la hybrid security e anche quella cyber. E ovviamente limitare le capacità d’azione militare della Russia”.
Con l’avvicendarsi degli speakers sul palco, emerge sempre più netto il sostegno dei membri dell’Alleanza verso l’Ucraina. Con il culmine che viene raggiunto dalle parole, pronunciate in tono stentoreo, del ministro degli Esteri polacco Radosław Sikorski: “L’obiettivo è cacciare la Russia dall’Ucraina. E faremo tutto quello che è necessario”. Ma anche il Ceo dell’azienda svedese Saab Micael Johansson chiede di dare “all’Ucraina quello di cui hanno bisogno per vincere la guerra”.
“Una sconfitta ucraina non minerebbe soltanto l’ordine internazionale, ma anche la credibilità della Nato”, ammonisce Sprūds, che ribadisce come l’obiettivo strategico dell’Alleanza sia di permettere all’Ucraina di vincere, infliggendo così una sconfitta strategica alla Russia. Ma per farlo serve un tipo di committment diverso, afferma l’ex-comandante generale dell’Esercito degli Stati Uniti in Europa (ora in pensione) Ben Hodges, secondo cui quella dell’Alleanza verso la Russia sarebbe una policy atta ad evitare l’escalation, “ma dovrebbe essere quella di aiutare l’Ucraina a sconfiggere la Russia. E questo non richiederebbe il dispiegamento di un solo soldato della Nato, ma richiederebbe la volontà politica di proteggere i nostri interessi strategici. Altrimenti avremo presto un altro episodio”, ribadendo la posizione assunta da altri relatori prima di lui.
Difficile prevedere quando Mosca sarà pronta a lanciare una nuova azione, dopo aver ricostituito le sue forze. Difficile anche capire cosa voglia dire ricostituire le forze, nota la senior fellow del Russia and Eurasia Program del Carnegie Endowment for International Peace Dara Massicot, poiché tale processo “non riguarda solo il numero di carri armati, ma anche il personale e la proficiency operativa. Quel che è certo è che l’esercito russo non tornerà a come era prima. La guerra in Ucraina l’ha cambiato in molti modi. Al momento la Russia sta segnalando di volere un esercito più largo, con più droni, e altro ancora”. Evidenziando l’importanza del rispostare il focus su una dimensione convenzionale, come affermato dal generale Cavoli poche ore prima.
Ma il rapporto tra il Cremlino e l’Alleanza Atlantica non si può limitare all’aspetto convenzionale. “La Russia è in Guerra con noi, e dobbiamo accettarlo. Magari non la fanno con i T-72 o con i Sukhoi, ma con sabotaggio del Gps, influenza delle elezioni, evasione delle sanzioni e vendita di petrolio”, esclama Hodges, mentre affidandosi ad un parallelo storico Sikorski sposta altrove il focus geografico: “La deterrenza nei confronti di Putin in Europa è compito della Nato. Ma in Africa? Il gruppo Wagner è stato rinominato di recente Afrika Korps, e l’Afrika Korps sta provando nuovamente ad espugnare Tobruk. L’influenza sui flussi migratori per colpire l’Unione europea e cercare di distruggerla dall’interno, il controllo delle risorse minerarie e non solo, e l’uso di queste risorse per destabilizzare gli stessi Paesi africani sono questioni che vanno affrontate. E l’Unione europea dovrebbe essere l’ente responsabile di ciò”.