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Due tavoli, un solo leader. La partita di Erdogan con Ue e Cina

Da Byd un miliardo di investimenti nel Bosforo, che darà lavoro diretto a circa 5.000 persone e la produzione inizierà nel 2026. Una notizia che giunge pochi giorni dopo la decisione di Bruxelles di imporre tariffe provvisorie aggiuntive fino al 38% sui veicoli elettrici cinesi, a seguito di un’indagine secondo cui i sussidi statali stavano ingiustamente indebolendo i rivali europei. La Turchia rafforza così il proprio status di porta d’accesso per gli investitori nel Mediterraneo, ma continua a giocare su due tavoli

Da un lato la volontà di proseguire nelle relazioni con l’Ue anche alla voce doganale, dopo le mosse del governo Erdogan in seno alla Nato. Dall’altro il richiamo di investimenti e denari immediati, sponda cinese, che contribuiscono all’aumento del Pil interno. La Turchia gioca da tempo su due tavoli, con la possibilità di una partita win-win: con Bruxelles per l’unione doganale, migliorando l’accordo di Marmara del 1996; e con Pechino alla voce automotive. Due mosse che portano in grembo una serie di effetti, tanto commerciali quanto politici e geopolitici.

Punto di partenza

Primizia tra Ankara e Bruxelles: dopo il primo dialogo commerciale ad alto livello tra la Turchia e l’Unione europea, presieduto congiuntamente dal ministro del Commercio Ömer Bolat e dal vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis, si è manifestata la volontà turca di espandere l’unione doganale, con l’apertura da parte della Ue. Un passaggio, questo, che è anticamera di una nuova fase delle relazioni, dopo lunghi periodi di tensioni e incomprensioni. Le controversie in corso con Grecia e Cipro pongono ostacoli significativi a un rapporto davvero innovativo.

Negli anni ’90 un accordo commerciale tra Comunità europea e Turchia prevedeva la sua applicazione a beni industriali e a prodotti agricoli trasformati, perimetro che ha subito nel corso del tempo un allargamento a settori vitali come i servizi e l’e-commerce. La posizione del governo turco è che la comunità imprenditoriale turca e quella europea sono soddisfatte dell’attuale livello delle relazioni economiche, come dimostra il crescente volume degli scambi commerciali registrato nel corso degli anni. Nel 2023 è stato infatti di 211 miliardi di dollari, segnando un record. Per il prossimo futuro Bolat e Dombrovskis hanno rivolto un appello congiunto per superare i problemi riguardanti i visti.

Gli inciampi

Di contro vanno valutate alcune circostanze oggettive, come il fatto che Mosca avrebbe ottenuto circa 3 miliardi grazie ad un escamotage sulle sanzioni che consente alla Turchia di rietichettare il petrolio russo e di spedirlo nei paesi europei, circostanza messa nero su bianco dal paper dei think tank del Centre for Research on Energy and Clean Air (CREA) e del Center for the Study of Democracy (CSD). Ma non è tutto, perché il ministro delle Finanze turco Mehmet Şimşek ha chiesto recentemente che il suo Paese venga “fermamente riagganciato” all’Unione Europea, aggiungendo che Ankara e Bruxelles condividono “ugualmente la colpa” per il deterioramento delle loro relazioni negli ultimi anni. Ovvero l’intenzione di azzerare la situazione, senza mettere effettivamente sul piatto della bilancia responsabilità e azioni concrete (al netto di fughe in avanti e strappi).

Automotive

Non solo Turchia-Ue, il dialogo di Ankara coinvolge anche la Cina in maniera massiccia: il presidente Recep Tayyip Erdoğan, il ministro dell’Industria e della Tecnologia Mehmet Fatih Kacır e il presidente e ceo di Byd Wang Chuanfu hanno firmato ieri un accordo per l’investimento in veicoli a nuova energia del valore di un miliardo. In Turchia verrà aperto uno stabilimento di produzione di auto elettriche e ibride ricaricabili con una capacità annuale di 150.000 veicoli e un centro di ricerca e sviluppo per tecnologie di mobilità sostenibile. Darà lavoro diretto a circa 5.000 persone e la produzione inizierà nel 2026. Una notizia che giunge pochi giorni dopo la decisione di Bruxelles di imporre tariffe provvisorie aggiuntive fino al 38% sui veicoli elettrici cinesi a seguito di un’indagine secondo cui i sussidi statali stavano ingiustamente indebolendo i rivali europei. La Turchia rafforza così il proprio status di porta d’accesso per gli investitori al mercato europeo attraverso l’Unione doganale, ma continua a giocare a poker su più tavoli.



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