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Il programma di Ursula è un grande pasticcio. Polillo spiega perché non ha convinto

La presidente von der Leyen, essendo stata costretta a chiedere il sostegno dei Verdi, per bilanciare i franchi tiratori della sua maggioranza, non poteva che presentare un programma evanescente: tanti buoni propositi, più di un pizzico di demagogia, una rimasticatura del passato, specie per quanto riguarda il Green Deal. Un grande pasticcio destinato a tradursi in un pessimo libro dei sogni. Comprensibile quindi, la decisione di Fratelli d’Italia di votare contro un’agenda improbabile

C’erano due modi differenti per costruire la propria candidatura alla presidenza della Commissione europea: Misurarsi con i problemi di una realtà internazionale densa d’incognite o far finta di nulla, sperando nella divina provvidenza. Purtroppo, Ursula von der Leyen ha imboccato la seconda strada, scegliendo la continuità con le linee programmatiche della passata legislatura. Una scelta ben poco lungimirante.

Probabilmente lo ha fatto perché non aveva alternative. Perché i tradizionali attori che calcano la scena europea, sono un po’ personaggi in cerca d’autore. Apparatčik, nella migliore delle ipotesi. Pronti a obbedir tacendo alle segreterie dei rispettivi partiti nazionali, nemmeno si trattasse di un distaccamento della Benemerita. Comprensibile quindi, dato il contesto, la decisione di Fratelli d’Italia di votare contro un improbabile programma di governo. Sebbene questa scelta abbia fatto scalpore.

Nei giorni precedenti, il sistema dei veti incrociati aveva aperto le porte della galassia, dominata dalle forze della vecchia maggioranza, ai Verdi. Impossibile una diversa configurazione per il niet della sinistra contro ogni ipotesi di apertura verso quelle forze politiche che, benché di destra, avevano mostrato grande responsabilità. Soprattutto, come del caso dell’invasione da parte di Vladimir Putin dell’Ucraina, una forte determinazione filoatlantica.

Si dice che il calcolo di von der Leyen abbia risentito della particolare congiuntura che la Germania sta vivendo. Aprire ai Verdi in Europa per procurarsi se non un appoggio almeno una maniglia a Berlino, quando, il prossimo anno, i tedeschi saranno chiamati alle urne. Considerato che i socialdemocratici sono in caduta libera, mentre a destra avanza Alternative für Deutschland, capace di togliere spazio alla stessa Unione cristiano-democratica, l’apporto dei Verdi poteva risultare più che utile. Ragioni comprensibili in un’ottica nazionale, molto meno dal punto di vista europeo.

Fosse stata questa la ragione, emergerebbe con forza maggiore la miopia dei diessini, che oggi si sbracciano nel denunciare l’isolamento internazionale dell’Italia. Erano stati tra i primi a porre il veto contro ogni possibile apertura verso il gruppo presieduto da Giorgia Meloni. Ne andava della loro presunta purezza, che rifuggiva da ogni possibile contaminazione. Settarismo di ritorno. Avessero seguito la logica di von der Leyen avrebbero rafforzato, in Europa, lo schieramento atlantista ed in Italia creato le condizioni per una possibile futura convergenza programmatica. Palmiro Togliatti docet.

Va da sé, che Ursula, essendo stata costretta a chiedere il sostegno dei Verdi, per bilanciare i franchi tiratori della sua maggioranza, non poteva che presentare un programma evanescente: tanti buoni propositi, più di un pizzico di demagogia, una rimasticatura del passato, specie per quanto riguarda il Green Deal. Un grande pasticcio destinato a tradursi in un pessimo libro dei sogni, che i deputati di Fratelli d’Italia non hanno potuto far altro che rispedire al mittente. Votando, di conseguenza, contro la candidatura della presidente.

Purtroppo, c’è voluto ben poco per dimostrarne l’inconsistenza e l’evanescenza. Facendo quattro conti, Francesco Giavazzi, dalle colonne del Corriere della Sera, ha reso noto che ci vorranno almeno 1.000 miliardi di euro l’anno, nel periodo 2025-2031, per concretizzare quelle promesse. Pur facendo leva su un surplus delle partite correnti della bilancia dei pagamenti, per un valore di “330 miliardi”, come quello maturato lo “scorso anno”, le distanze, tra gli impegni futuri e le risorse disponibili, rimangono siderali. Senza contare, poi, che la trasformazione di quel surplus in investimenti interni è problema di inimmaginabili difficoltà.

Giavazzi usa le stime della Banca centrale europea, che forse von der Leyen non è tenuta a conoscere. La stessa Commissione, tuttavia, negli anni passati, aveva prodotto valutazioni dello stesso ordine di grandezza. In una Comunicazione dello scorso anno (COM(2023)376 final), per esempio, aveva calcolato che per il Green Deal è il RepowerUE si sarebbero dovuti spendere 620 miliardi di euro all’anno; per il Net Zero Industrial Act altri 92, cui sommarne ancora 125 per la digitalizzazione. Somme che, considerando anche le maggiori spese militari e gli aiuti all’Ucraina, portano il totale a 915 miliardi di euro l’anno.

Leggermente meno delle previsioni di Giavazzi, ma anche le ipotetiche entrate, vale a dire il presunto “eccesso di risparmio sugli investimenti nell’Unione europea” aveva una quotazione leggermente inferiore: circa 300 miliardi di euro l’anno. Per cui alla fine lo sbilancio, in entrambi i casi, è identico. Né, questa volta, si può sostenere che quelle previsioni erano sconosciute, essendo state fornite dagli stessi Uffici della commissione.

Ed ecco allora la triste conclusione. In politica ci vuole sempre un minimo di coerenza, specie quando si tratta dei grandi numeri. Si pensi al bonus del 110 per cento a favore dell’edilizia. Non si può nascondere la testa sotto la sabbia solo per conquistare il sostegno di tizio o di caio. Ci sarà infatti sempre qualcuno pronto a gridare che il re è nudo. E se avrà ragione, se dimostrerà che quel suo giudizio era fondato, non solo non avrà alcunché da vergognarsi. Ma avrà reso un servigio alla propria comunità. Fossimo in Meloni, non avremmo patemi d’anima. Come diceva il Poeta, “Non ti curar di lor, ma guarda e passa”.



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