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L’avventurismo di Viktor Orban e la verticale del potere. Scrive Polillo

Non è ancora ben chiaro quali siano gli obiettivi e i motivi dietro al tour diplomatico intrapreso di recente dal leader ungherese. Dietro tutto questo c’è un disegno: grande o piccolo che sia, si vedrà. Comunque in grado di provocare reazioni e malumori. Il commento di Gianfranco Polillo

Quello di Viktor Orbàn è solo attivismo o c’è dell’altro? Dopo le sue ultime provocazioni, questo è l’interrogativo che preoccupa le principali capitali europee. L’essersi presentato in rapida successione a Kyiv, Mosca, Pechino ed infine in Florida, fa pensare soprattutto alla favola della mosca cocchiera di La Fontaine. Quei sei cavalli sfiancati dalla lunga corsa che non riescono a procedere lungo la rapida salita della collina.

I passeggeri che scendono dalla carrozza per alleggerirla e poi spingerla. Ed infine la mosca che si posa sull’uno o sull’altro animale. Li pizzica sul naso, si attacca al loro mantello sudato. E nel frattempo pensa “se non ci fossi io!”. Finché, stanca e soddisfatta si abbandona al meritato riposo, un momento prima che la carrozza raggiunga la cima. Convinta, come mai, del suo contributo determinante al successo dell’impresa.

Orbàn messaggero di pace. Orbàn il grande mediatore capace di mettere d’accordo il diavolo e l’acqua santa, è un po’ come la mosca cocchiera, con l’aggiunta di un pizzico di quella lucida follia che ha reso immortale l’Amleto di Shakespeare. Dietro quel suo atteggiamento un po’ guascone, quel suo irridere alle più elementari regole della rappresentanza. Non si va in giro millantando o facendo credere di avere la delega dell’Unione europea. Dietro tutto questo c’è un disegno: grande o piccolo che sia. Si vedrà. Comunque in grado di provocare reazioni e malumori.

Il primo interrogativo riguarda gli obbiettivi. Voleva portare a Donald Trump l’endorsement di Vladimir Putin e di Xi Jinping? Favorire, in qualche modo, la costruzione di quel triangolo che, dopo le prossime elezioni americane, potrebbe essere il nuovo “perno” dell’equilibrio mondiale? Difficile crederci. Comunque vadano le cose, Cina e Stati Uniti rimarranno, nelle migliori delle ipotesi, competitor accaniti. Il dumping delle esportazioni cinesi in tutti i quadranti della realtà internazionale è soprattutto puntato contro la presenza non solo economica, ma politica, del Paese a stelle e strisce.

Più realistica la tesi della ritorsione. Nel momento in cui la Nato fa la voce dura, dichiarando che l’ingresso dell’Ucraina sarà irreversibile. Ed, al tempo stesso, stanzia aiuti per 40 miliardi di dollari a favore di quel Paese. Confermando l’invio degli F-16 e preannunciando l’installazione di missili a lungo raggio in prossimità delle frontiere con il vecchio Impero del male. Dimostrare che quell’unità è solo di facciata, è una buona carta da giocare nei confronti degli scettici e di alcuni Paesi del Sud Globale.

Paesi questi ultimi che, per la prima volta, sono stati considerati nella riunione di Washington. La decisione di procedere alla nomina di un inviato speciale per la sponda sud è qualcosa che infastidisce soprattutto la Cina. Che della conquista economica-finanziaria e quindi politica di quei territori ha fatto, da tempo, una sua precisa strategia. Cina, alla quale è stata intimato, senza giri di parole, di “smettere qualsiasi forma si sostegno politico e materiale” alla Russia. Vista in questo contesto, l’azione di Viktor Orbàn è qualcosa che va oltre le libere prerogative di uno Stato sovrano. Vi saranno sanzioni? Staremo a vedere.

Ma se questo è vero, perché correre un simile rischio? Perché voler baciare la pantofola di quei potenti che nel 1956 non esitarono a reprimere con durezza l’anelito di libertà degli ungheresi? Quei morti sono stati inutili? Cancellati dalla storia di quel nobile e grande Paese? Di questo, Orban dovrà rispondere soprattutto al proprio elettorato. Per quanto ci riguarda, invece, è più interessante seguire i passi compiuti per costituire la catena dei “patrioti per l’Europa”: il nuovo raggruppamento politico che ha preso il posto di “Identità e democrazia”. Rilevando fin da subito una contraddizione.

Si può essere patrioti ed, al tempo stesso, operare per una potenza straniera? Vagheggiare una sorta di internazionalismo 2.0, da costruire sulle ceneri delle tragedie del ‘900? Nel nostro Risorgimento i patrioti – si pensi a Mazzini o Garibaldi – difendevano e lottavano ovunque per l’affermazione dei principi di libertà. Patriota è, oggi, il russo Alexei Navalny, non certo i membri della struttura oligarchica che lo hanno condannato a morte. Dopo averlo imprigionato in Siberia. Si può giocare con le parole, ma solo fino ad un certo punto.

Naturalmente Orban, insieme alla Le Pen e ad Abascal (Vox), per citare i principali stakeholder del nuovo raggruppamento, si avvolgeranno nel bandierone della pace, per nobilitate alleanze impresentabili. Ma basta un pizzico di memoria storica per smascherare l’imbroglio. Parlano di pace, ma di fatto puntano sull’appeasement. Su quella strategia, voluta negli anni ‘30 da Neville Chamberlain, il Primo ministro inglese, che favorì la “resistibile ascesa” (Bertolt Brecht) di Adolf Hitler. Strategia che, per fortuna, in Francia è naufragata contro la resistenza delle forze democratiche. Ma che è destinata a riproporsi nel tentativo di dividere il fronte europeo, sperando nella vittoria di Donald Trump.



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