L’aeronautica americana mira a creare una serie di basi distaccate nel Pacifico, meno suscettibili a massicci attacchi missilistici cinesi. Ma anche queste basi necessiteranno di capacità difensive. Per le quali l’aviazione sta collaborando con l’Esercito
L’approccio dispersivo prescelto dall’US Air Force nella conduzione delle operazioni è stato considerato più che adatto in previsione di un eventuale conflitto nel teatro Indo-Pacifico. Ma i vantaggi dati da questo modus operandi potrebbero essere messi in discussione dal crescente arsenale di missili (e non solo) che la Repubblica Popolare Cinese, cioè il principale competitor degli Stati Uniti in Asia, sta sviluppando. Ed è necessario reagire a questo trend con la massima urgenza.
In una tavola rotonda con i giornalisti al Pentagono, il Capo di Stato Maggiore dell’Usaf David Allvin ha affrontato direttamente questo tema. “Mi sentirei più fiducioso se avessimo un sistema di difesa per le basi più robusta e attiva, francamente. Questa è una di quelle aree in cui abbiamo lavorato con l’Esercito, ed è qualcosa che il dipartimento ha assunto come requisito congiunto, cioè che dobbiamo migliorare le nostre difese per le basi”.
In particolare, sono le difese aeree ad attirare l’attenzione degli ufficiali dell’aereonautica di Washington. Nell’ambito del concetto chiamato “Agile Combat Employment” (Ace), su cui si struttura il pivot to Asia militare dell’Aeronautica statunitense (all’interno del quale rientra anche l’annunciata esercitazione Reforpac), è prevista la creazione di molteplici postazioni operative più piccole disperse attraverso l’oceano Pacifico. Alcune di questi siti potrebbero essere aeroporti civili locali, o basi austere allestite sul campo con piste d’aviazione approssimative. E sarebbero gestite da squadre più piccole di “aviatori multi-capaci” addestrati a svolgere diversi lavori – come il rifornimento di carburante per gli aerei o la sicurezza – invece di una sola specialità.
Ace è stato sviluppato per contrastare attacchi missilistici concentrati contro basi aeree regionali più grandi e tradizionali, come quelle in Giappone e a Guam. Tali attacchi potrebbero seriamente degradare o mettere fuori uso la capacità dell’Air Force di far decollare aerei nel Pacifico. Ma anche queste basi minori non sarebbero certo esenti da operazioni nemiche. “Se dovremo operare da questi [siti], avere difese attive sarebbe certamente utile contro la minaccia di un gran numero di attacchi missilistici. E se non possiamo avere difese in ogni spazio, vogliamo essere in grado di decidere dove posizionarle” ha detto Allvin parlando con i giornalisti.
Il comandante dell’aviazione sottolinea che c’è già un’“intesa” tra il suo corpo e l’Esercito degli Stati Uniti, il quale sta “lavorando in modo congiunto con noi in alcune aree specifiche utili all’implementazione di Ace”, senza però specificare quali tipologie di sistemi difensivi sono oggetto di questo sforzo condiviso. Il Pentagono sta studiando nuovi metodi (ad esempio l’uso di energia diretta) per abbattere in modo più economico minacce come missili e droni, e non è da escludere che alcuni di questi progetti siano legati a doppio filo con Ace. Ma Allvin ha osservato anche che una migliore difesa missilistica è solo un pezzo del puzzle, poiché gli aviatori dovranno anche individuare più rapidamente gli attacchi nemici e rimanere connessi in un ambiente che sarà probabilmente denso di attacchi informatici e altre forme di guerra non-cinetica.