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Pechino avvelena l’economia. Perché non smetterà

Supply chain, Xi predica unità ma impone limiti. E la Cina attacca l’Europa

​La sovraccapacità cinese è il grande male di questi tempi e a pagarne il conto è anche l’Occidente. Ma difficilmente Xi Jinping rinuncerà a tale approccio industriale. L’analisi di Foreign Affairs

L’economia cinese è bloccata e non è una novità. E non è solo una questione di debito, di mercati, di credibilità. Ma di consumi. Il problema di fondo è che la Cina produce troppo e consuma troppo poco. Così che la sua sovracapacità si riflette all’esterno, inondando i mercati di offerta e mettendo così a soqquadro i prezzi, dunque la concorrenza. Si tratta, si legge in una analisi di Foreign Affairs, del grande problema di questi tempi, che ha colto impreparato persino l’Occidente, costretto a rispondere con l’unica arma possibile: i dazi.

La domanda a questo punto è: potrà mai il modello cinese cambiare, riequilibrando le sorti del mondo? Il titolo dell’analisi è emblematico, La vera crisi economica della Cina, perché Pechino non rinuncerà a un modello fallimentare. “Dalla metà del 2010, il problema cinese è diventato una forza destabilizzante anche e soprattutto nel commercio internazionale. Creando un eccesso di offerta nel mercato globale per molti beni, le aziende cinesi stanno spingendo i prezzi al di sotto del punto di pareggio per i produttori di altri paesi. La politica industriale cinese ha dunque portato per decenni a cicli ricorrenti di sovracapacità”, si legge.

Ma se non c’è domanda adeguata, inutile affannarsi a produrre. Ed è proprio questo il punto. “Secondo il partito, il consumo è una distrazione individualistica che minaccia di distogliere risorse dalla forza economica fondamentale della Cina: la sua base industriale. Secondo l’ortodossia del partito, il vantaggio economico della Cina deriva dai suoi bassi consumi e dagli alti tassi di risparmio, che generano capitale che il sistema bancario controllato dallo Stato può incanalare nelle imprese industriali. Questo sistema rafforza anche la stabilità politica incorporando la gerarchia del partito in ogni settore economico”.

Ed è questo lo scoglio che Pechino non riuscirà mai a superare, perché si tratta di dettami e canoni insiti nel suo Dna politico. Ma la realtà è un’altra. “Nel dare priorità alla produzione industriale, il governo cinese presume che i produttori nazionali saranno sempre in grado di scaricare l’eccesso di offerta sul mercato globale e di ricavare denaro dalle vendite all’estero. In pratica, però, avendo creato un enorme sovrainvestimento nella produzione in settori in cui il mercato interno è già saturo, ecco che i governi stranieri sono diffidenti nei confronti del predominio della filiera cinese”. Dunque, la Cina produce ma il mercato non riesce più a rispondere. Un bel problema.

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