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Cina sì, ma non troppo. Così Giorgia Meloni ferma il fotovoltaico Made in China

La premier italiana interviene per evitare il problema (economico politico) dell’invasione del fotovoltaico cinese nel mercato italiano come denunciato da Formiche.net. Meloni non vuole fare sconti a Pechino e assecondare le fughe in avanti dei mandarini presenti nel suo stesso esecutivo

Nelle pieghe del decreto omnibus, ecco emergere una previsione di legge che altro non sarebbe che una conferma interpretativa. In realtà in poche righe si può cogliere un intervento politico a tutto tondo che porta la firma della presidente del Consiglio che ha voluto stoppare il rischio invasione di pannelli fotovoltaici cinesi in Italia. Il provvedimento fa chiarezza su una problematica che Formiche.net aveva evidenziato a inizio mese: con un suo un documento interpretativo, l’Enea creava le condizioni per un possibile ingresso sul mercato italiano di pannelli fotovoltaici cinesi. Si trattava infatti di un “chiarimento” che l’Enea aveva fornito all’associazione Italiasolare il cui presidente, Paolo Rocco Viscontini, è il rappresentante della Bee Solar che — subito dopo il documento del governo — aveva siglato un’intesa con il colosso cinese Huasan al ministero delle imprese e del made in Italy, con tanto di comunicato entusiasta del ministro Adolfo Urso. Coincidenze, forse. Fatto sta che la Meloni — anche per tutelare l’industria italiana — è voluta intervenire.

Il decreto

Il comma 6 del primo articolo del decreto omnibus, prevede esplicitamente che si “interviene sulla disposizione relativa alla istituzione del Registro delle tecnologie per il fotovoltaico, tenuto da Enea, […] volto a catalogare gli impianti fotovoltaici e le celle ai fini della incentivazione del credito di imposta transizione 5.0”. In particolare, la specificazione riguarda proprio la riscrittura di una dettaglio amministrativo dietro a cui rischiava di nascondersi (per dolo o per superficialità) un problema politico. “Si intende chiarire che sia gli impianti fotovoltaici che le relative celle devono essere prodotte negli Stati membri dell’Ue (non solo gli impianti fotovoltaici, come previsto dalla disposizione vigente)”, puntualizza la correzione voluta da Chigi con fermezza, risolutezza e tempestività.

Linea Meloni

Questa iniziativa legislativa appariva del resto necessaria dopo gli slanci entusiastici di alcuni ministeri che, prima e dopo, la visita del premier in Cina hanno lavorato per mettere a punto accordi “strategici” che, a ben vedere, sembrano andare incontro agli interessi cinesi molto più che a quelli italiani. Un patriottismo al contrario che Giorgia Meloni non ha affatto gradito. Formiche.net può anticipare che gli uffici della presidente del Consiglio stanno lavorando anche su altri interventi simili, indirizzati a frenare fughe in avanti di alcuni ministeri e ricondurre il piano triennale firmato durante la visita in Cina sotto un’ottica più attenta agli interessi di sicurezza nazionale del Paese.

Fattore Trump

D’altronde, sistemato il fotovoltaico, resta per esempio ancora aperta la questione dell’eolico, su cui è la stessa Unione Europea a intervenire con severità. In linea generale, il tema delle green-tech cinesi si porta dietro un messaggio politico recentemente affrontato anche da Donald Trump, con il candidato repubblicano che ha espresso chiaramente la sua posizione contraria (in ballo, come si spiegava, c’è l’overcapacity cinese e la gestione dei dati). Elemento non di poco conto questo collegato alle visioni del tycoon, perché segna una continuità con le politiche dell’amministrazione Biden (di cui è parte anche la candidata in pectore democratica Kamala Harris) e conferma che, stando come stanno le cose adesso, Washington resterà ferma sul contrasto e il contenimento della Cina – uno dei rari punti di contatti tra le divisioni Rep-Dem, da tenere a mente nel mantra del “con Trump cambierà tutto”, spesso usato come giustificativo di certe azioni.

Un altro elemento chiaro è che gli Usa non accettano e non accetteranno un indebolimento delle proprie posizioni negoziali prodotto da falle, debolezze, indecisioni nel sistema delle alleanze. Meloni sembra aver percepito in prima persona certe dinamiche, ragione per cui la leader italiana è assai poco disponibile che le grandi partite di politica internazionale siano intralciate dallo zelo dei numerosi mandarini annidati nelle pieghe dell’amministrazione pubblica (e nella politica).



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