Skip to main content

Così la Cina sfrutta le tensioni in Medio Oriente

Dall’Onu, la Cina condanna “l’assassinio” dei leader di Hamas e Hezbollah. Pechino non perde occasione per usare il dossier Israele per attaccare anche l’Occidente, ma Xi Jinping potrebbe essere chiamato a dimostrazioni di responsabilità se la situazione precipita

Mentre il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha avuto una conversazione telefonica con il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, a cui ha partecipato anche Kamala Harris (molto più di vice, ma candidata in pectore dei Democratici), non si hanno notizie di contatti mediorientali che hanno coinvolto la Cina in questi giorni. Non è detto che non ci siano stati, ma in una situazione in cui — dopo il duplice assassinio israeliano del leader militare di Hazeboah, Fuad Shukr, e del capo del Politburo di Hamas, Ismael Haniyeh — l’esplosione di una guerra regionale è imminente, anche l’esposizione pubblica è importante per disinnescare la situazione.

È infatti una fase di disequilibrio totale: per esempio, la comunità di intelligence americana fa sapere pubblicamente di aspettarsi, a giorni, una reazione violenta da parte dell’Iran: qualcosa di simile a ciò che successe il 13 aprile, ma forse meno coreografico e con Hezbollah coinvolta Che posizione prenderà la Cina?

Pechino sin dal 10/7, quando il mostruoso attacco di Hamas (mai condannato dalla Cina, tra l’altro) ha avviato l’attuale stagione di guerra, ha tenuto una “neutralità pro palestinese”, come spiegava Enrico Fardella (L’Orientale/ChinaMed). Una linea utilitaristica, perché serve a distanziarsi sia da un coinvolgimento diretto, sia dall’Occidente — che mantiene contatti stretti con Israele, pur evidenziandone le criticità nella reazione. Invece Pechino si è ricavato lo spazio con cui ha offerto la piattaforma diplomatica che ha riconciliato (almeno su carta) Hamas e Fatah, e fazioni minori; una riconciliazione che è vero può essere utile alla gestione post bellica della Striscia di Gaza, ma adesso trova un collante nell’essere anti-israeliana (se non antisemita).

Due giorni fa, come conseguenza diretta dell’eliminazione di Haniyeh, il prezzo del petrolio è aumentato — reazione istintiva, perché il mercato comprende l’importanza di quanto successo e si prepara a una reazione. Per la Cina non è positivo, visto che importa oil&gas per i propri fabbisogni energetici (è il primo importatore di petrolio al mondo). Se non verranno colpite infrastrutture petrolifere, cosa improbabile a meno di una reale guerra totale, questo picco tuttavia sara probabilmente solo temporaneo in mezzo a un trend in diminuzione da una mesata — generata anche per via del calo della domanda cinese, connessa a una riduzione della produzione manifatturiera Made in PRC.

Il giorno successivo all’esplosione della bomba che ha ucciso Haniyeh nel palazzo di Teheran in cui era ospitato dai Pasdaran, la Cina ha dato un input chiaro sulla propria linea. Il rappresentante cinese delle Nazioni Unite, Fu Cong, durante la riunione di emergenza del 31 luglio, ha allineato la posizione di Pechino con quella di Algeria, Iran e Russia, innanzitutto condannando “l’assassinio” del leader palestinese. “La Cina si oppone fermamente e condanna fermamente l’assassinio di Haniyeh. Si tratta di una palese interruzione degli sforzi per la pace e di una violazione ‘wanton’ del principio fondamentale della Carta delle Nazioni Unite di rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale delle nazioni”. Quando la Cina comunica pubblicamente serve sempre dare importanza al wording, e l’uso della parola “wanton” serve a evidenziare che l’azione israeliana è stata cruente, deliberata e non provocata.

“La Cina – inoltre – esprime la sua forte opposizione e condanna della recente serie di atti irresponsabili, incluso l’attacco israeliano al sud di Beirut”, quello che ha ucciso Shukr – che è stato colpito anche per essere ritenuto tra i responsabili ultimi dell’attacco terroristico in cui sono stati uccisi dodici bambini drusi a Majdl Shams. Infine, e in termini definitivi, Pechino coglie l’occasione dell’intervento all’Onu per esortare Israele “ad attuare pienamente le pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza, a cessare immediatamente tutte le operazioni militari a Gaza e a cessare la sua punizione collettiva del popolo di Gaza”. Al di là dei proclami però, la Cina potrebbe essere chiamata a un’azione di responsabilità se la situazione dovesse precipitare: osservare come si muoverà Xi Jinping sarà fondamentale per indicazioni sui futuri equilibri globali.

×

Iscriviti alla newsletter