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Dabaiba cerca investimenti da Pechino. La Cina vuole tornare in Libia?

La Cina approfondisce le proprie attività in Libia? Intanto partirà il progetto per una nuova linea (cinese) nel cementificio di Lebda, ma sul tavolo ci sono vari progetti con cui il premier Dabaiba punta ad attrarre capitali

Non ci sono solo i droni cinesi che le autorità italiane, insieme all’intelligence statunitense, hanno fermato a Gioia Tauro a inizio luglio prima che entrassero in possesso dell’Afrika Corp russo in Cirenaica. La Cina sta approfondendo la sua attività africana anche in Libia, sfruttando gli spazi prodotti da una crisi istituzionale sempre più profonda. Pechino d’altronde trova sponda nelle necessità degli attori in gioco di smuovere denaro per finanziare la propria permanenza al potere.

Nei giorni scorsi, per esempio, la National Cement Company— società statale che risponde al Governo di unità nazionale (GNU) guidato da Abdelhamid Dabaiba — ha firmato un accordo di cooperazione con la società cinese Sinoma per la realizzazione di una nuova linea di produzione presso la Lebda Cement Factory. Il progetto prevede l’installazione di una capacità produttiva di 6.600 tonnellate al giorno nella città che fu Leptis Magna, sul Mediterraneo, più o meno a metà strada tra Tripoli e Misurata. L’accordo include anche la conduzione di una serie di studi preliminari per valutare le cave di materie prime necessarie per supportare l’espansione dell’impianto.

Prima di andare avanti, occorre una nota geoeconomica: mentre la Cina non sta cercando attivamente di monopolizzare il mercato del cemento, la sua posizione dominante (50% della produzione globale), combinata con strategie di espansione internazionale, le conferisce una notevole influenza sul mercato produttivo e su quello dei materiali primi necessari. Questo può avere conseguenze a lungo termine su prezzi, disponibilità e competizione nel settore. Lebda sarà un tassello di questo puzzle.

Tornando in Libia, a giugno, dopo una missione a Pechino di Dabaiba (incontri con il premier Li Qiang e con il capo della diplomazia Wang Yi), diverse aziende cinesi hanno manifestato la loro disponibilità a contribuire ai progetti infrastrutturali del Paese. Tra queste figurano importanti conglomerati cinesi come China State Construction Engineering Corporation (CSCEC), China Communications Construction Company (CCCC) e appunto Sinoma International Engineering Co.. Sì tratta di alcune delle grandi società di Pechino impegnate in piani di costruzione su larga scala, inclusi infrastrutture stradali, portuali e cementizie. Gli interlocutori libici in questi incontri includevano esponenti di alto livello del GNU, tra cui il ministro dell’Economia e Commercio, Mohammed al Huweij, e rappresentanti del ministero delle Infrastrutture.

Questi incontri fanno parte di una serie di dialoghi volti a rinvigorire le relazioni economiche e commerciali tra la Libia e la Cina, soprattutto nell’ambito della ricostruzione del Paese. Fonti libiche spiegano confidenzialmente che si parla della possibilità di investimenti diretti, appalti per progetti specifici e partenariati pubblico-privato, con l’obiettivo di modernizzare le infrastrutture locali, danneggiate durante gli anni di conflitto. Dabaiba sarebbe contento di chiudere certe intese anche pensando al suo interesse politico (con il suo governo che scricchiola in mezzo a una policrisi interna). Tra queste infrastrutture ce ne sono alcune attorno a cui gravitano progetti attivi anche italiani, come per esempio l’autostrada Tripoli-Misurata (parte centrale di un piano per collegare, via Libia, Tunisia ed Egitto), ma anche la ricostruzione dell’aeroporto internazionale di Tripoli e il porto di Misurata.

Progetti che la Cina inserisce nella Belt & Road Inititative (Bri, a cui la Libia ha aderito nel 2018). Con la guerra haftariana contro Tripoli che ha bloccato il Paese per quasi due anni, aprirle 2019-ottobre 2020, la pandemia e i rallentamenti per via della destabilizzazione interna, le pianificazioni della Bri sono rimaste ferme. Ma recentemente Dabaiba — interlocutore cinese, perché Pechino ne riconosce la legittimazione per via del mandato onusiano, sebbene ormai scaduto — ha cercato riattivazioni. A giugno, inaugurando il primo Chinese-Libyan Economic Forum a Pechino, Dabaiba ha stressato la necessità di concentrarsi sulla ripresa dei progetti delle imprese cinesi attualmente sospesi in Libia, e detto di considerare questa ripresa la prima fase di una cooperazione congiunta (lo slogan del forum è stato “La Libia e la Cina sono partner nello sviluppo e nella ricostruzione”).

Durante il forum, a cui hanno partecipato 84 aziende cinesi interessate alla Libia, sono stati anche presentati i progetti di sviluppo mirati nell’ambito del piano di stabilità di Dabaiba chiamato “Restoration of Life”, è stata fatta “un’analisi tecnica e finanziaria dei progetti contratti con aziende cinesi e priorità di attuazione”, spiegano i partecipanti libici, con le aziende cinesi che “hanno presentato argomentazioni tecniche che mostrano le loro aree di lavoro e progetti simili in un certo numero di altre nazioni in tutto il mondo, aggiungendo ciò che attualmente rallenta un totale ritorno in Libia”. Sostanzialmente la sfiducia nel futuro del Paese.

Ad aprile, al Huweij ha incaricato i dipartimenti competenti del ministero dell’Economia di semplificare le procedure e accelerare i progetti di investimento per le società cinesi che cercano di entrare nel mercato libico. Un lavoro già avviato con una visita a Pechino nel dicembre scorso, in cui si era stabilito un meccanismo di lascito congiunto tra ministeri. Il mese prima, l’incaricato di affari dell’ambasciata cinese in Libia, Liu Jian, aveva annunciato che il suo Paese era pronto a riprendere i progetti lasciati in sospeso dopo la rivoluzione del 2011. Nei giorni scorsi lo stesso Liu ha invitato ufficialmente il GNU al China-Africa Cooperation Forum che ci sarà a Pechino tra il 4 e il 6 settembre. Tripoli ha risposto incaricando ufficialmente la Camera economica mista libica-cinese e il Consiglio d’affari libico-cinese di lavorare per organizzare un forum economico congiunto a Tripoli all’inizio del 2025.

In definitiva, molto si muove in Tripolitania sul piano delle volontà, degli auspici, delle promesse e dei progetti. Sul piano pratico ci sono per ora i primi passi per lo stabilimento di Lebda. Ma la Cina non è la Russia, che lavora in Libia perché capitalizza dal caos. Per Pechino, la stabilità è l’aspetto che fa da prerogativa alle proprie attività all’estero, che sono concepite come sostegno ai propri interessi economici (e dunque stabilità interna). La caoticizzazione istituzionale di questi giorni tenderebbe a scoraggiare gli interessi cinesi. E solitamente Pechino non si impegna per complicate mediazioni politiche come quelle richieste in Libia, piuttosto sceglie di essere coinvolta quando il contesto permette di rivendicare un successo politico-diplomatico. Non è chiaro dunque se certe dinamiche siano un posizionamento (anche narrativo) opportunistico per il futuro, oppure indicative di qualcosa in più. Finora la Cina ha sempre tenuto una posizione distaccata e pragmatica sul dossier.

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