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Dalla Convention a Pechino. Qual è la linea di Harris sulla Cina?

Harris dovrà gestire la linea sul principale dei temi di politica estera cercando di costruire un suo standing senza eccessive discontinuità e proteggendosi dagli attacchi dei repubblicani. Di questo si occupa l’ultima edizione di Indo-Pacific Salad

Appena dopo che Joe Biden scelse di rinunciare alla corsa per la Casa Bianca, sui social network cinesi rimbalzarono due cose: la traduzione in cinese della lettera con cui l’attuale presidente statunitense annunciava la sua decisione; una serie di profili più o meno veritieri di He Jinli (賀錦麗) — questo è il nome cinese che Kamala Harris ha scelto per sé ai tempi della carriera politica californiana, usando “He”, cognome comune e simile a Harris, e “Jinlin” che evoca immagini di bellezza e successo.

Prima donna nera e prima asiatica-americana a essere entrata in una corsa presidenziale (nel 2020 s’intende, come vice di Biden), Harris — che in questi giorni prende l’incarico di frontrunner dalla Convention democratica di Chicago — sia in campagna elettorale che eventualmente da eletta dovrebbe mantenere sulla Cina policy simili a quelle dell’attuale amministrazione. Non solo perché ne è parte, ma anche perché ne condivide visioni e letture generali. “Cosa c’è in un nome?”, si chiedeva quattro anni fa Alison da Sousa, spiegando in una column sul South China Morning Post che per Harris, uno dei pochi politici statunitensi che ha scelto un nome cinese per se stessa, essere He Jinli poteva significare un vantaggio con gli elettori di lingua cinese (che in alcune zone degli Stati Uniti, come parti della California (San Francisco su tutte) e New York, lo avrebbero visto tradotto nel materiale elettorale).

A distanza di quattro anni, il rapporto americano con la Cina, di cui già l’amministrazione Trump aveva sgrammaticamene esposto le complicazioni, è diventato teso, competitivo, complesso, ben poco amichevole e molto sospettoso. Tanto è d’altronde cambiato in senso generale, come analizza Ettore Sequi in una ricca intervista condotta da Gabriele Carrer. Ora ogni genere di relazione con Pechino e dintorni è vista da Washington come un problema, una macchia, un pericolo per la sicurezza nazionale  (ne sa qualcosa Tim Walz, vicepresidente scelto da Harris, i cui rapporti con il mondo cinese sono un peso da far scrutinare alle intelligence).

Harris dovrà gestire la linea sul principale dei temi di politica estera cercando di costruire un suo standing senza eccessive discontinuità e proteggendosi dagli attacchi dei repubblicani. Di questo si occupa l’ultima edizione di Indo-Pacific Salad, la newsletter curata da Emanuele Rossi che questa settimana si intitola “Walzer cinese per Kamala”. Per iscriversi, basta seguire questo link.


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