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Dopo la Cina ora anche gli emiri girano le spalle a Mosca

Le banche del Golfo si stanno rifiutando di processare i pagamenti con cui il Cremlino compra beni e componenti elettronici dalla Cina, nel tentativo di aggirare le sanzioni. Un doppio fronte che può essere letale

Fosse stata la Cina a colpire alle spalle Mosca, poco male. Sono mesi, infatti, che Pechino e le sue banche negano i pagamenti da e per l’ex Urss, legati alla vendita o all’acquisto di beni dal Dragone. Questo per timore di finire imbrigliati nella rete delle sanzioni americane, che consentono di colpire tutte quelle istituzioni che in qualche modo continuano a fare affari con Mosca. Stavolta però la Cina c’entra fino a un certo punto.

I problemi ora arrivano dal Golfo. Dall’inizio di agosto molte banche emiratine, finora piuttosto benevole con Mosca, hanno iniziato a rifiutare le transazioni effettuate da aziende russe per componenti elettronici ed elettronica di consumo provenienti dalla Cina. Le imprese di Russia non possono così più comprare beni cinesi transitando per gli istituti del Golfo. Il canovaccio è di quelli già visti con Pechino e le sue banche, decisamente restie a permettere il transito dei fondi russi.

Senza l’appoggio delle banche emiratine, Mosca non può pagare i fornitori russi per via indiretta, come aveva fatto finora, proprio per tentare di aggirare le sanzioni. E con lo sbarramento cinese già in essere, adesso diventa davvero complicato per la Russia approvvigionarsi. Tutto questo mentre c’è un altro cappio pronto a stringersi intorno al collo della Russia: quello che risponde al nome di Gazprom.

Un rapporto pubblicato dal Center for european policy analysis, spiega infatti come l’utilizzo dei gasdotti ucraini da parte del colosso russo possa pregiudicare in modo irreversibile le sue finanze, soprattutto da quando due settimane fa le forze armate di Kiev hanno sequestrato la stazione di misurazione del gas di Sudzha, nella regione russa di Kursk, l’unica via rimasta per fornire la residua quota di gas direttamente all’Europa e che è diventata ancora più cruciale dopo che i gasdotti Yamal e Nord Stream 1 hanno cessato le operazioni nel 2022. “Attualmente”, si legge nel rapporto, “il flusso di gas attraverso Sudzha è di 40-42 milioni di metri cubi al giorno, il che lo rende un anello indispensabile nella catena delle esportazioni di gas russo verso l’Europa”.

Ora, “data la sua importanza, la mancanza di controllo su Sudzha introduce rischi sostanziali per l’azienda. Gazprom ora non ha alcuna supervisione della stazione di misurazione in cui viene misurato il flusso di gas, creando il rischio di interferenze di terze parti con le apparecchiature di misurazione e impedendo al personale Gazprom di eseguire le procedure di manutenzione standard. In breve, Gazprom non può più fidarsi del sistema che dimostra e dettaglia gran parte delle sue esportazioni e quindi dei suoi ricavi”.

 

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