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Effetti psicologici sulla Russia, ma l’attacco di Kursk non è un game changer. Scrive Jean

L’offensiva ucraina in territorio russo ha sicuramente comportato una serie di vantaggi per Kyiv. ma potrebbe non essere così decisiva nel porre fine al conflitto e nell’avviare trattative. Per quello, bisogna aspettare ancora qualche mese. L’analisi di Carlo Jean

Le vicende ucraine erano praticamente scomparse dall’attenzione dei media occidentali. Le aveva cacciate soprattutto la rilevanza assunta dal conflitto in Medio Oriente. Il successo dell’attacco di sorpresa di Kyiv nella regione di Kursk le ha rapidamente riportate in primo piano. In Italia, sono diventate subito oggetto di accanita contesa fra le varie fazioni politiche e non solo fra esse. Sul dibattito ha certamente giocato il caldo torrido. Se ne sono sentite di tutti i colori non solo da membri del governo e dell’opposizione, ma anche da illustri studiosi di relazioni internazionali e da costituzionalisti. I temi più controversi hanno riguardato le differenze fra attacco e difesa. Pur non conoscendo gli obiettivi della mossa di Kyiv, specie per la durata dell’occupazione, e neppure l’entità delle forze penetrate in Russia, molti si sono chiesti angosciati se la decisione ucraina e la palese dimostrazione dell’incapacità del Cremlino e dello Stato Maggiore russo di prevederla – quindi di prevenirla – e di effettuare rapidamente una risposta efficace, non qualificasse la Russia come Stato aggredito da bande di terroristi e quindi da aiutare a difendersi (sic!).

Fiumi di parole sono stati anche spesi per rispondere all’interrogativo se l’attacco ucraino facilitasse o impedisse – come sostiene Putin – l’inizio di un fantomatico negoziato di pace, che molti considerano possibile. Per essi, un negoziato che ponga fine ai massacri, sarebbe impedito dai “guerrafondai” occidentali, che vogliono “combattere Mosca fino all’ultimo ucraino”. Gli ucraini si farebbero massacrare con entusiasmo per far piacere agli occidentali. Sarebbe la prima volta nella storia che questo accade, ma i sostenitori della tesi affermano che c’è sempre una prima volta. Considerano irrilevanti il fatto che la loro netta maggioranza pensa inaccettabili le condizioni poste da Putin per l’inizio di un  negoziato, cioè la preventiva resa del loro paese.

Verosimilmente, i fautori del negoziato a ogni costo, considerano generose le condizioni poste da Putin e concordano anche con la sua affermazione che ogni negoziato è oggi reso impossibile dalla presenza di soldati ucraini sul territorio russo. Essi sottacciano il fatto che secondo i sondaggi di fine luglio, riportati da Foreign Policy, quasi due terzi degli ucraini non è disponibile a cedere territori anche se ciò dovesse comportare una continuazione del conflitto. Il morale della truppa di Kyiv rimane elevato. La sua popolazione dimostra un’incredibile resilienza.

L’affermazione che nella primavera del 2022 siano stati gli occidentali a far fallire l’accordo di pace fra ucraini e russi concordato in Turchia è una “bufala”, smentita tra gli altri dal premier israeliano Benett, uno dei mediatori. Egli parla di aver visto una dozzina di bozze profondamente diverse fra loro – in particolare sulle garanzie di sicurezza per l’Ucraina – scambiate fra le due delegazioni.

Insomma, non esistendo alcuna prospettiva negoziale, l’interrogativo se l’attacco ucraino lo faciliti o ne aumenti la probabilità è privo di senso. Ipotesi al riguardo vanno comunque fatte solo collocandole nel contesto del conflitto.

A parer mio è probabile che non si riesca ad uscire dall’attuale situazione di stallo. Forse – ma non lo credo – le cose potranno chiarirsi dopo le elezioni presidenziali americane, quando si saprà la sorte del sostegno Usa all’Ucraina. Lo stallo non è solo militare ma politico. Putin non può recedere dall’obiettivo di annettere alla Russia i quattro Oblasti (oltre alla Crimea) che ha illegalmente unito alla Federazione. Non può farlo non perché sia in gioco la sopravvivenza della Russia – come sarebbe in caso di sconfitta quella dell’Ucraina – ma la sua sopravvivenza politica. Putin potrebbe moderare le sue richieste solo se mantenesse il potere assoluto di cui oggi gode, ma, contemporaneamente, perdesse ogni speranza di poter vincere e se temesse che la prosecuzione del conflitto mettesse in gioco il suo regime. Il raid su Kursk non può mutare l’andamento del conflitto. Non può consentire a Kyiv la riconquista dei territori perduti. Prima o poi gli ucraini dovranno ritirarsi entro i loro confini, Putin canterà vittoria e la guerra di attrito continuerà come prima con gli ucraini decisi a resistere e i loro sostenitori forse più decisi ad aiutarli. Anche in Italia, che supererà l’amletico dubbio fra armi offensive e difensive che oggi vede tanto impegnati i “cacadubbi” italici, con grande spasso dei pragmatici osservatori stranieri.

Anche Zelensky non può cedere soprattutto ora che l’incursione su Kursk ha rafforzato il morale dei suoi, aumentando le speranze se non di vittoria (cioè di riconquista di tutti i territori perduti) almeno di parte di essi e soprattutto di ottenere garanzie di sicurezza che coinvolgano l’Occidente. Insomma l’incursione su Kursk non sembra avere effetti su un negoziato di pace o, meglio, può avere effetti contrari sulla sua possibilità: per Putin diventa più difficile ingoiare l’umiliazione; per Zelensky sarà più difficile – ammesso che sia possibile – “comprare la pace” cedendo qualche pezzo di territorio.

Sugli obiettivi di Kyiv si possono fare solo ipotesi. Varie sono state fatte. Le elenco brevemente a partire da quelle che mi sembrano meno probabili. I) impadronirsi dell’hub gasiero di Sudzha per bloccare i quasi 15 mld di mc di gas che, tramite l’Ucraina, giungono annualmente in Europa. In realtà, Kyiv potrebbe già bloccarli sul suo territorio, interrompendo i gasdotti. Perderebbe così le royalties pagate da Gazprom e di cui ha estremo bisogno; II) impadronirsi per usarla come merce di scambio della centrale nucleare posta a sudovest di Kursk. Non credo l’obiettivo credibile: Kyiv non può permettersi di “giocare” con il nucleare, come fa quello sciagurato di Medvedev, n° 2 del Consiglio di Sicurezza di Mosca; III) occupare una parte del territorio russo per utilizzarla come merce di scambio in eventuali, ancorché improbabili, negoziati; possibile; IV) obbligare Mosca a trasferire forze dal settore del Donbass, in cui Kyiv continua a perdere terreno; per ora non sembra avere effetto; V) approfittare della vulnerabilità russa per infliggere un’umiliazione a Putin e ai suoi militari; successo ottenuto forse più grande di quanto sperato da Kyiv; VI) rafforzare il morale ucraino e dei sostenitori di Kyiv, anche per indurli a intensificare gli aiuti militari e finanziari; successo ottenuto, eccetto – a parer mio alquanto inspiegabilmente – in Italia.

Come al solito, Putin ha dato attribuito la colpa dei successi ucraini all’Occidente, affermato che le forze di Kyiv hanno violato le leggi di guerra e minacciato terribili vendette contro l’attacco definito atto di terrorismo. Ha usato una bomba termobarica. È un ordigno che vaporizza il suo carico esplosivo prima di farlo esplodere con enorme effetto di calore. È efficace soprattutto all’interno di caverne e rifugi, dove l’aerosol si espande. Causerebbe migliaia di morti nelle metropolitane ucraine usate come rifugi. Non muterà più di quel tanto l’esito dei combattimenti di superficie. Saranno più importanti le bombe russe plananti (Kal da 500 kg, lanciabili dai Sy-34 a 30 km di distanza dai loro obiettivi, fuori dal raggio delle difese contraeree e si cui i russi fanno ampio uso nell’Oblast di Kursk.

Molto verosimilmente gli Usa erano al corrente dei piani dell’attacco ucraino. Malgrado la richiesta fattagli in luglio dal nuovo ministro della Difesa di Mosca, quello americano aveva affermato di non conoscere nessun piano segreto ucraino. Anche se era a conoscenza non glielo avrebbe detto. Taluni esperti sono persuasi che il ministro russo si riferisse alla possibilità di Kyiv di costruire bombe radiologiche o “sporche” – avvalendosi della grande quantità di combustibile nucleare esistente in Ucraina, per dissuadere Mosca dall’impiego in Ucraina di qualche arma nucleare tattica, più volte minacciata da Medvedev e anche da Putin.

In conclusione, l’attacco a Kursk non muterà le sorti del conflitto in Ucraina. Rappresenta un nuovo disastro e perdita di prestigio per Putin e le sue Forze Armate. Ha significativi effetti psicologici, non solo in Ucraina ma soprattutto nei suoi sostenitori e, forse (il condizionale è d’obbligo dato il livello del patriottismo russo) anche sul sostegno di cui gode il Cremlino nell’opinione pubblica della Federazione.



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