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Houthi-Hezbollah. Per ora la propaganda è sincronizzata, poi…

Dal disordine prodotto dagli yemeniti passa la morfologia della nuova globalizzazione. Ora il rischio è che si coordinino le attività degli Houthi con quelle di Hezbollah. La narrazione e gli interessi coincidono, d’altronde

Hezbollah e Houthi collaborano: la guerra nella Striscia di Gaza aperta con l’attacco di Hamas il 10/7 ha mostrato anche i lineamenti di questo tratto del terrore, che va dal Libano allo Yemen, rafforzando l’intesa tra i due gruppi armati dell’Asse della Resistenza iraniano. A livello regionale l’obiettivo è produrre proselitismo e consensi, dunque rafforzare la base operativa e il controllo su masse e potere; sul piano internazionale questo rinvigorimento dell’intesa potrebbe essere ancora più problematico, ripercuotendosi sui traffici che segnano la martoriata rotta Europa-Asia che passa dal Mar Rosso, e anche per i piani di collegamento indo-mediterranei come IMEC.

Dopo che Hezbollah ha lanciato circa trecento missili contro Israele tre giorni fa (quasi tutti intercettati, con gli israeliani che avevano per altro anche colpito in forma preventiva in Libano), gli yemeniti sono corsi a celebrare il successo dell’organizzazione guidata da Hassan Nasrallah — “satisfactory” in vendetta per l’eliminazione di Fuad Shukr, miliziano modello anche per gli yemeniti, tra i fondatori di Hezbollah. La guida spirituale libanese ha un’influenza di rilievo su tutto l’Asse, anche su Abdel Malek Al Houthi, il leader degli zayditi nordisti dello Yemen. E inoltre, la dimensione narrativa antisemita, la lotta allo stato ebraico in nome dei fratelli palestinesi, ha presa sul consenso indottrinato interno.

Gli Houthi d’altronde hanno sfruttato “la causa” sin da novembre 2023: con la guerra israeliana nella Striscia avviata da un mese, gli yemeniti hanno iniziato a martellare le rotte indo-mediterranee che doppiano Bab el Mandeb e passano Suez. La scusa era colpire le navi collegate a Israele come ritorsione per la guerra ai “fratelli palestinesi”. L’effetto è stato la destabilizzazione della connettività Europa-Asia e lo scombussolamento della geoeconomia globale. Non c’è giorno che l’operazione americana “Poseidon Archer” non colpisca sistemi d’arma in Yemen. Ma gli Houthi non si fermano: è quasi un anno che continuano a sparare missili iraniani contro le navi nella regione (l’ultima centrata pochi giorni fa, con tanto di disastro ambientale potenziale collegato). Quanto sta accadendo contribuisce anche all’idea di chi intende tracciare le prossime rotte della nuova globalizzazione: argomento vasto che coinvolge i cosiddetti “Paesi revisionisti”. Nel medio termine, la revisione della governance internazionale che Russia e Cina e Iran intendono (ognuno a suo modo, a suo interesse), passa anche dai nuovi tracciati delle catene di approvvigionamento.

Ma intanto, il colpo al sistema produttivo è evidente nell’immediato. Secondo uno studio di Federmeccanica citato dal Sole 24 Ore, attualmente il 67% del campione (analizzato tra gli iscritti) considera “importanti” le problematiche connesse al trasporto e logistica, con il 40% che subisce costi e ritardi legati alla destabilizzazione prodotta dagli Houthi nel Mar Rosso (che al momento ha un peso di dieci punti maggiore rispetto agli effetti negativi collegati alla guerra russa in Ucraina). Dai dati, il 40% delle imprese intervistate ne risente le conseguenze. In particolare il 47% delle imprese soffre l’allungamento dei tempi, il 41% un aumento dei costi, il 9% percepisce una perdita di competitività e il 2% denuncia maggiori difficoltà di accesso ai mercati. In generale, non solo sul settore metalmeccanico, un aumento dei costi della logistica impatta su tutta la filiera fino al consumatore finale. In definitiva, gli Houthi stanno già contribuendo all’aumento dei prezzi che vediamo nelle nostre quotidianità.

Gli attacchi Houthi alla navigazione commerciale dentro e intorno al Mar Rosso hanno avuto un impatto significativo sull’architettura (instabile) della sicurezza nella regione. La pressione si è scaricata sulla struttura della deterrenza statunitense (e in parte europea). Il successo della campagna yemenita, nonostante la risposta americana ed Europea (con l’operazione“Aspides”), mina l’affidabilità di Washington come security provider a livello regionale, il che potrebbe influire sulla fiducia nel ruolo occidentale in generale. Ed è anche su questo che si basa la spinta per la cooperazione interna all’asse iraniano. Molto dello scambio di colpi tra Israele e Hezbollah riguarda il concetto di deterrenza; e gli Houthi agendo nonostante i dispiegamenti di forze occidentali dimostrano di non esserne intimoriti (e rivenivano tale condizione come prova di forza).

Hezbollah e gli Houthi condividono toni e temi della narrazione anti-israeliana e anti-occidentale e su questo superano le differenze. Gli Houthi sono sempre stati più autonomi da Teheran di altri gruppi, praticano la dottrina zaydita, hanno un’agenda e un’élite indipendente. Ma è grazie alle armi iraniane se hanno ottenuto risultati negli otto anni di guerra civile e centralità in questo ultimo anno. L’integrazione nel network iraniano è stata un processo costante, e adesso organi come il Consiglio del Jihad, centro delle decisioni strategiche anche nel gruppo yemenita, sono dotati di advisor iraniani e libanesi (di Hezbollah).

“L’assistenza della rete iraniana ha anche aiutato gli Houthi a costruire le proprie fabbriche di armi (droni), come parte di un complesso militare-industriale in aree controllate”, analizza Eleonora Ardemagni, tra i massimi esperti internazionali sullo Yemen. C’è anche un’assistenza tecnica sui media, che permette il coordinamento della propaganda. “Adottano un discorso politico populista contro la corruzione, con un’ideologia e una piattaforma politica per lo più elaborate in reazione contro qualcuno, piuttosto che pienamente espresse da una prospettiva teorica”, scrive Ardemagni in un’analisi per Ispi.

“Sono movimenti radicati localmente che sono stati in grado di sviluppare una narrazione nazionale e in definitiva regionale”, aggiunge l’esperta. Il rischio enorme è se questo coordinamento diventa anche cooperazione militare verso obiettivi e rivali comuni — comuni anche al (oppure ai) loro dante causa. I dati parlano chiaro sul peso degli effetti di certe attività. Quanto accade nel Mar Rosso dimostra che anche un attore non statuale e locale può creare problemi globali in contesti sensibili — e Hezbollah, affacciato sul bacino dell’East Med e non troppo a nord di Suez, è molto più armato degli Houthi.

L’interesse reale degli Houthi è nel dimostrarsi forti agli occhi degli interlocutori con cui stanno discutendo il futuro dello Yemen; così come quello di Hezbollah è nel dimostrarsi credibili ai proseliti libanesi. Vogliono un territorio da amministrare e vogliono che sia in qualche modo riconosciuto. Ma l’operazione complessiva sta producendo più effetti del previsto — forse, perché c’è da pensare che ci possa essere dietro una regia di chi ha usato gli Houthi e le loro istanze per i propri interessi, esattamente come gli yemeniti hanno fatto con i palestinesi. Dal disordine prodotto dagli yemeniti passa dunque la morfologia della nuova globalizzazione.

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