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Il dilemma di Kursk, tra la minaccia atomica di Putin e la volpe Gerasimov. L’analisi di D’Anna

Sono molti gli interrogativi sulla finora sostanziale assenza non solo di una difesa, ma soprattutto del contro attacco all’invasione ucraina incuneatasi in profondità oltre il confine russo. Cosa ha in mente Putin? È la domanda e insieme il timore di molti. L’analisi di Gianfranco D’Anna

Cosa c’è per Putin dietro il “dilemma Kursk”, come l’ha definito il presidente americano Joe Biden? A Washington, Londra e in Europa sono convinti che non lo sappia neanche Vladimir Putin. L’unico timore, anzi terrore, che fa venire i brividi all’occidente, è che mediti di utilizzare una bomba atomica tattica per ricattare il mondo. Se pure l’ha pensato, evidentemente sono riusciti a dissuaderlo o gli hanno fatto il disegnino del perché non era assolutamente salutare e conveniente farlo.

Da dieci giorni il Cremlino è affollato da incubi e fantasmi. In scala ridotta, ma con un effetto dirompente maggiore, il Presidente russo sta rivivendo le convulse ore della marcia su Mosca nel giugno scorso della brigata mercenaria Wagner, guidata da Evgenij Prigožhin. Stessa impotenza reattiva, ma con l’aggravante che questa volta non si tratta di una rivolta di reparti irregolari dell’armata russa, ma di truppe di un paese nemico mentre la capitale distante appena 500 chilometri da Kursk appare sostanzialmente indifesa. Le accuse alla Nato di avere programmato e di sostenere l’invasione ucraina non fanno altro che evidenziare il divario di armamenti e d’intelligence esistenti fra l’Alleanza Atlantica e l’apparato militare russo. In attesa di una effettiva controffensiva non propagandistica, Mosca ha diramato annunci per reclutare migliaia di manovali per scavare nel più breve tempo possibile trincee successive per rallentare l’avanzata delle forze di Kyiv. L’identica tattica usata contro Prigožhin, con le autostrade lungo le quali i mercenari avanzavano indisturbati e che vennero trasformate in trincee.

L’incubo principale del presidente russo è il confronto storico con il suo predecessore Stalin. Per arginare l’avanzata tedesca giunta alle porte di Mosca il dittatore sovietico sacrificò milioni di soldati, mandati allo sbaraglio contro i panzer. A decidere le sorti della battaglia e della guerra furono però i colossali aiuti militari inviati via mare da Stati Uniti e Gran Bretagna. Senza i carri armati, il carburante, le bombe e il sostegno dell’intelligence inglese, Stalin non avrebbe potuto resistere, contrattaccare e dopo quattro anni conquistare Berlino. A distanza di ottantadue anni le parti si sono invertite. I russi che da due anni e mezzo tentano di invadere l’Ucraina sono stati sorpresi con una manovra che rischia di accerchiarli e che é condotta da reparti regolari dell’esercito ucraino che dispongono dei più moderni armamenti occidentali. A combattere per la libertà del loro Paese sono questa volta gli invasori e Putin oltre che per lo stalinismo ha fatto assumere storicamente alla Russia il ruolo della Germania nazista.

I riferimenti storici comprendono anche un’altra fondamentale circostanza che ricorre nuovamente. In quest’ultimo scorcio della presidenza, Biden ha deciso di andare a vedere quello che ritiene essere il bluff del Cremlino, accelerando al massimo il poderoso riarmo dell’Ucraina e varando la cosiddetta strategia Putin first rispetto al pur consistente rischio di una escalation del conflitto in medio oriente.  E’ la fotocopia della strategia decisa nel 1942 dagli Stati Uniti nonostante l’attacco a tradimento del Giappone a Pearl Harbor. Allora sancì la preminenza del pericolo della devastante dittatura nazista sul punto di invadere oltre a tutta Europa anche la Russia e di ricongiungersi col Giappone e prevalse rispetto alla pur urgente guerra nel pacifico. Dall’Hitler first, come venne definita quella strategia, l’America e l’occidente sono passati al Putin first perché ci si é resi conto che l’incombente pervasività del regime neo stalinista del Presidente russo, ha imboccato la rotta del progressivo conflitto mondiale ed ha innescato varie aree belliche a cominciare da quella del Medi Oriente, con le appendici dell’Iran degli Houthi e degli Hezbollah, all’Africa, fino alla Corea del Nord.

Oltre che strategica comunque, l’offensiva ucraina nel cuore del gigante con i piedi d’argilla della Russia ha l’obiettivo tattico di aprire e allargare la frattura fra gli apparati militari ed i gangli del potere del Cremlino. Esautorando continuamente i vertici delle forze armate Putin ha già di fatto sfiduciato il generale Valerij Gerasimov capo di Stato maggiore e punto di riferimento dell’armata russa, che tuttavia presumibilmente, non si sa con quale risultato, non si lascerà sacrificare come prossimo capro espiatorio. Sotto osservazione anche il ruolo dell’aviazione militare, che come la marina è stata utilizzata contro l’Ucraina senza dispiegare completamente le proprie indubbie potenzialità. Da sempre forza d’élite per il ruolo essenziale nelle strategie aerospaziali e nucleari, l’aviazione sarebbe contraria all’impiego di atomiche tattiche di ridotte dimensioni e da ultimo avrebbe avuto molte perplessità sull’utilizzazione degli ordigni termobarici per contrastare l’avanzata ucraina nella regione di Kursk. Dopo avere sganciato un ordigno termobarico che ha provocato più devastazioni alla popolazione russa che agli invasori, gli analoghi bombardamenti sono stati infatti sospesi perché avrebbero danneggiato il territorio della madre patria.

Analogamente non sarebbe visto di buon occhio il delirante programma di armamenti nucleari annunciati da Putin ed in particolare la realizzazione finora non a caso fallita del missile a propulsione nucleare Burevestnik, classificato come Skyfall dalla Nato. Un’arma incontrollabile, in grado di provocare da sola la distruzione di un intero continente, ma che può trasformarsi in un boomerang. Anche se non si registrano prese di posizione ufficiali, le forze aeree della Federazione Russa guidate da cinque anni dal generale Sergej Dronov, avrebbero più volte fatto presente che invece che bombardare anche con missili e droni le città e le infrastrutture ucraine sarebbe stato militarmente risolutivo prendere di mira le linee delle forze di Kyiv, anche per coprire le offensive dei soldati russi e risparmiare le loro vite. Una sottolineatura ignorata dal Cremlino ma che viene, finora silenziosamente, condivisa dalle armate guidate dal generale Gerasimov. Teorico delle guerre ibride non dichiarate e delle aree in cui non sarebbe più possibile distinguere pace e belligeranza e nell’ambito delle quali il ruolo dei mezzi non-militari, dalla cyber war agli hackers, avrebbe raggiunto un’importanza tale da renderli spesso più efficaci di quelli bellici, il 69enne Gerasimov è consapevole della sua involontaria, ma ineluttabile imminente metamorfosi da stratega a volpe delle steppe?

Chi confida di sì è convinto che la mossa dello scacco matto a Putin potrebbe essere opera sua. In caso contrario cercherà di cancellare le sue tracce con la coda mimetizzata da dilemma che nasconde da qualche parte. Oppure finirà in pellicceria, inaugurando però la stagione finale delle paranoie e delle congiure di palazzo che il Cremlino ha già vissuto con lo zar Ivan il Terribile.


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