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La crisi in Bangladesh ruota intorno all’India. Ecco perché

Sulla destabilizzazione del Bangladesh pesano anche interessi e narrazioni esterne, oltre alle istanze interne. Dai complotti temuti dall’India e fomentati dalla Russia ai movimenti di Pakistan e Cina, lo scenario complesso attorno a Dacca

Da una parte le necessità interne che hanno mosso le folle studentesche a protestare contro la leader Sheikh Hasina, fino a indurla alla fuga e a dimissioni dal governo (annunciate da un luogo sicuro, in India). Dall’altra c’è chi ha soffiato sul fuoco dell’instabilità e sofferenza sociale per spingere i propri interessi — che nel caso di Pakistan e Cina collimano nel favorire in Bangladesh il caos e poi l’istituzione di un governo non amico di New Delhi, per la Russia di spingere la narrazione anti-occidentale. Sarà cercare un punto di equilibrio il centro del compito affidato al premio Nobel Muhammad Yunus (padre del micro-credito, intervistato lo scorso anno da Gabriele Carrer) che dovrà anche garantire la continuità democratica dopo i disordini, organizzando un iter elettorale in cui quasi certamente ci sarà un successo di partiti filo-islamici e dell’attuale opposizione — visto che la Awami League, la forza nazionalista di Hasina, rischia l’implosione.

Nel caso di disordini di questo genere è importante dunque comprendere tanto la sfera interna che quella esterna, perché entrambe influenzano le evoluzioni e hanno influenzato gli inneschi. I disordini sono iniziati con la protesta degli studenti universitari contro il ripristino di un sistema di quote per i posti di lavoro nel settore pubblico, decisione vista come un favore per i sostenitori del partito al potere. E qui conta il contesto: nonostante la forte crescita economica del Bangladesh, che ha superato il 7% nell’ultimo anno, le tensioni sociali e politiche restano. Le proteste studentesche — mosse dalla diffusione di un pensiero verso equità e autodeterminazione d’ispirazione anche occidentale — testimoniano che le faglie sociali ed economiche, nonché politiche, erano più profonde della percezione.

La severa repressione, con il dispiegamento di forze di polizia e militari, guidata dal governo ha ulteriormente inasprito le proteste, giustificando il percepito autoritarismo di Hasina, con accuse di violazioni dei diritti umani, corruzione, brogli. All’interno di queste dinamiche hanno trovato spazio anche alcune istanze interne particolari, per esempio quelle islamiste (connesse al mondo della Fratellanza mussulmana), che hanno cavalcato a proprio interesse le mosse studentesche — poi ampliate al resto dei settori sociali e produttivi. Conseguenze: durante le proteste non ci sono state solo missioni punitive contro i membri del partito al potere, ma anche contro la minoranza hindu.

Yunus è chiamato a gestire la stabilizzazione di un dossier che però ha (soprattutto?) un importante risvolto esterno. Perché la destabilizzazione del Bangladesh — un Paese da oltre 170 milioni di persone inserito in un contesto geostrategico nevralgico — non può essere solo una questione interna, ma piuttosto qualcosa di carattere internazionale, ed è uno tra i grandi eventi rell’Indo Pacifico di quest’anno.

Del gioco di interessi esterni al dossier è convinta una buona parte dell’opinione pubblica indiana, nonché della sfera politica e della burocrazia degli apparati. A New Delhi la ricostruzione oscilla tra l’improbabile complotto giudaico-massonico a guida Cia (l’arrivo di Yunus, molto sponsorizzato dai liberal statunitensi), al più credibile lavorio sino-pakistano per sfruttare le vulnerabilità bengalesi come forma di leva sulla stabilità del Subcontinente.

Stando alla narrazione riguardo al coinvolgimento americano, si ipotizza un piano di destabilizzazione ordito dalla Cia: chi considera questa operazione credibile crede che sia pensata per contenere l’ascesa indiana, che si sta identificando come un polo del sistema delle relazioni internazionali (che al di là di semplificazioni e desiderata sono tutt’altro che bilaterali Usa-Cina). È come se Washington fosse interessata a evitare che l’India diventi un gigante, o quanto meno egemonica nella regione. Possibile? Pare una costruzione priva di logica, perché nell’ottica del contenimento cinese, gli Stati Uniti — che considerano l’India un partner di primissimo livello, vedere alla voce “Quad” — hanno tutto l’interesse ad avere New Delhi forte, stabile e sicura. Questo significa che tutto il Subcontinente indiano debba esserlo.

Tanto che questo tipo di racconto trova spinta nella disinformazione russa. Mosca ha buonissimi contatti, storici, con la burocrazia indiana e una serie di addentellamenti profondi all’interno di apparati importanti come la diplomazia e la difesa. Per la Russia, alimentare le ipotesi di un complotto mosso dagli Stati Uniti è un interesse strategico: da tempo all’interno di quegli stessi apparati indiani è in corso un dibattito sulla necessità di scegliere per un decoupling da Mosca, sia per l’alimentazione energetica che militare. È un procedimento complesso, e come dimostra il recente viaggio nella capitale russa del premier Narendra Modi, fatto di passaggi necessari e pragmatismo. Tuttavia, la Russia è consapevole che qualcosa è in corso: offre per questo prezzi di petrolio scontati, per esempio, così come spinge anche in India la narrazione revisionista anti-occidentale.

C’è poi l’elemento Cina-Pakistan. I due Paesi sono ormai molto attivi in forma cooperativa negli affari regionali, come raccontano le repressioni contro i baluci per esempio. Obiettivo comune è contenere l’India, e in questo caso è un obiettivo storico e reale. È in gioco l’ambito geostrategico dell’Oceano Indiano, dove è in corso una guerra per i porti per esempio, e dove la Cina si proietta tramite la deviazione pakistana della Via della Seta. In quest’ottica, l’interesse comune nel creare destabilizzazione in Bangladesh coincide anche con l’installare a Dacca un governo amico (a differenza di quello di Hasina) o quanto meno più controllabile e ricattabile.

Per Pechino, significherebbe rafforzarsi ulteriormente a Est dell’India, dopo il sostegno complesso ai golpisti del Myanmar. Per questo la Cina osserva con massima cautela quanto accade, cercando di sfruttare le opportunità. Ed è questa la dimensione altamente strategica dietro a quanto è in corso in Bangladesh, visto che anche la Russia ha dimostrato interessi per l’India.



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