Skip to main content

La Russia sta aiutando gli Houthi a destabilizzare l’Indo Mediterraneo?

Gru in Yemen. La Russia potrebbe aumentare l’impegno al fianco degli Houthi con progetti di influenza regionale e in un’ottica geostrategica che dall’Indo Mediterraneo arriva fino all’Artico

L’intelligence militare russa, Gru, è in Yemen, presente con consiglieri militari al fianco degli Houthi. La notizia ce l’ha Middle East Eye, sito inglese specializzato nella regione, tramite fonte anonima statunitense. È un’informazione che se dovesse essere confermata modificherebbe parte della percezione riguardo alle attività dei miliziani separatisti yemeniti, ed è abbinata — sebbene strategicamente anche più significativa — alle rivelazioni del New York Times sul dispiegamento di armamenti russi (principalmente per difesa aerea) in Iran.

Gli Houthi, che dal novembre scorso hanno avviato una serie di attacchi contro il traffico mercantile che segue le rotte indo mediterranee del Mar Rosso, dicono di combattere come rappresaglia per la guerra israeliana nella Striscia di Gaza — la stessa che quando e se Teheran lancerà l’attacco punitivo per l’affitto subito con l’eliminazione di Ismail Haniyeh potrebbe espandersi a livello regionale e rendere le difese aeree russe importanti per proteggere la Repubblica islamica dalla contro reazione israeliana, ma anche opportunistica la presenza del Gru in Yemen.

Restando sullo Yemen: in realtà è noto che probabilmente gli Houthi non sono impegnati in una sincera difesa dei “fratelli” palestinesi, ma stanno sfruttando l’occasione per rivendicare, con la forza, un posto di riguardo al tavolo negoziale che dovrà discutere del destino del Paese — che da un decennio è martoriato da una guerra separatista avviata proprio dagli Houthi.

Ora, se al loro fianco ci sono gli esperti del Gru, allora significa che il quadro si ampia. Quanto meno, diventa evidente che Mosca lavori per la destabilizzazione e dunque abbia interesse a mantenerla tale finché non valuta utile l’opposto. Perché? Ci sono varie ragioni sia di livello tattico che strategico.

Innanzitutto, essere presenti permette alla Russia di poter prendere parte, sebbene in quota minima, al futuro dello Yemen. Ossia significa esserci per le commesse della ricostruzione, ma anche (e soprattutto) partecipare alle discussioni di un dossier cruciale per l’Arabia Saudita. Riad è il più importante competitor russo nel settore petrolifero, e va bene le varie forme pubbliche di contatto — come il dialogo istituzionale tramite il sistema Opec+ — ma Mosca sa che mantenere anche leve meno informali e più affilate può essere utile. D’altronde, già a giugno si era parlato di un possibile vendita di missili russi agli yemeniti, fermata a quanto pare dall’intervento diretto dell’erede al trono saudita Mohammed bin Salman. Da ricordare anche che il capo delle policy mediorientali russe, l’espertissimo vice ministro degli Esteri Mikhail Bogdanov, ha incontrato a Mosca una delegazione Houthi guidata dal portavoce del gruppo, Mohamed Abdel Salam, a luglio.

Gli americani credono che la volontà russa sia anche usare l’appoggio agli Houthi come leva, di nuovo, contro l’impegno occidentale a sostegno dell’Ucraina invasa. E dunque occorre allargare l’ottica oltre la Penisola Araba, perché le unità dello spionaggio militare russo (specializzati tanto nell’uso di armamenti che in operazioni nella zona grigia e attività di guerra cognitiva) si troverebbero in Yemen secondo una logica di interessi diretti e indiretti contro l’Occidente.

Per i primi: è noto che Mosca abbia cercato una forma di accordo con gli Houthi per salvaguardare le navi russe dagli attacchi (qualcosa di simile avrebbero cercato anche i cinesi, tra l’altro). Questo doveva garantire passaggi sicuri, ma a volte il targeting yemenita è tutt’altro che preciso: il Gru potrebbe aiutare a scegliere bene i bersagli. Ossia potrebbe aiutare gli Houthi a fare in modo che le spedizioni russe abbiano un vantaggio competitivo sulla rotta Europa-Asia rispetto a quelle statunitensi, europee, inglesi o israeliane (che invece sarebbero nei mirini).

Non è poco nell’ottica di una continua e crescente competizione che la Russia e le altre nazioni revisioniste stanno imbastendo contro l’attuale modello di governance degli affari internazionali. È questo stesso modello che ha portato all’avvio della missione europea “Aspides” e quelle a guida statunitense “Prosperty Shield” e “Poseidon Archer”. Se i russi dovessero riuscire a trovare qualche forma di gestione della situazione, allora il Cremlino potrebbe rivenderla come soluzione efficace ed efficiente di una crisi — dove Usa e Ue non sono riusciti, in tutti questi mesi, a trovare una forma di controllo di una destabilizzazione che ha già prodotto un parziale scombussolamento alla geo economia globale.

Da qui, la geoeconomia. La Russia lavora da tempo per aumentare la propria presenza all’interno del sistema delle supply chain globali, ma nonostante la sua enorme estensione territoriale, a meno di collegamenti specifici (vedi quello verso l’Asia Centrale) è abbastanza marginalizzata. A maggior ragione se si considera l’ormai enorme peso cinese nella tratta eurasiatica, nella quale si dipana la Belt & Road Initiative. E però, complice una serie di situazioni tra cui la più importante è il riscaldamento globale — e il conseguente scioglimento dei ghiacci polari — Mosca potrebbe tornare centrale se si dovesse aprire una rotta artica.

Non c’è attualmente termine di paragone tra la centralità acquisita (e tuttora futuribile) di Suez, ossia del corridoio indo-mediterraneo che risale Bab el Mandeb lungo il Mar Rosso, e di quello in costruzione che dovrebbe passare per il Golfo, noto con l’acronimo “Imec” Tuttavia, mostrare debolezze e vulnerabilità dell’Indo Mediterraneo, in generale l’instabilità di esso, può essere utile già adesso per continuare a raccontare che avere la gran parte delle catene di distribuzione passanti in quel contesto geostrategico Europa-Asia non è più funzionale.

D’altronde, quando il cargo Ever Given si incagliò a Suez bloccando per giorni il Canale nel 2021, Vladimir Putin non suggerì mica la soluzione più diretta — la circumnavigazione dell’Africa che ormai è tornata rotta normale con la destabilizzazione degli Houthi. Piuttosto il presidente russo sottolineò che l’evento confermava la necessità per accelerare i progetti della rotta artica — dove la Russia si sta predisponendo per dominare il passaggio.

×

Iscriviti alla newsletter