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Libia, nel caos ancora spazio per l’Italia. Ecco come per Mezran

Per Mezran (Atlantic Council), l’Italia dovrebbe spingere per arrivare a un accordo quadro sulla Libia tra Ankara e Il Cairo, sostenere l’iniziativa per un nuovo governo, attivandosi per veicolare il peso diplomatico degli Usa. Obiettivo: evitare il caos (e i droni cinesi nella Cirenaica russa)

La Libia è sull’orlo di una nuova guerra civile? “Se tutto va bene, potremmo evitare il caos attraverso una soluzione per un governo unitario, catalizzata da un primo ministro che dovrà essere abbastanza forte per potersi muovere in tutto il Paese, ma sufficientemente debole da non sembrare un imperatore”, risponde Karim Mezran, direttore della North Africa Initiative delle Rafik Hariri Center & Middle East Programs dell’Atlantic Council.

C’è una discussione in corso, e le discussioni in Libia spesso coincidono con il lucidare le armi. Manovre militari si sono viste anche nei giorni scorsi, abbinate all’approfondimento della crisi politica istituzione che da un decennio avvolge il Paese. Il quadro: dal 2014, la Libia è divisa in due entità contrapposte, con governi rivali situati rispettivamente nell’est e nell’ovest del Paese. Attualmente, l’amministrazione sostenuta dalle Nazioni Unite, nota come Government of National Unity (GNU), è guidata dal primo ministro Abdelhamid Dabaiba, con sede a Tripoli, ma negli ultimi tre anni ha sostanzialmente fallito nel suo mandato. In Cirenaica, la regione orientale della Libia, la Camera dei Rappresentanti, auto-esiliatesi dieci anni fa a Tobruk e presieduta da Agila Saleh, guida invece da anni l’opposizione contro le forze di Tripoli; è protetta militarmente dalla milizia di Khalifa Haftar; esprime un governo parallelo guidato da Osama Hammad, non riconosciuto a livello internazionale, che attualmente rivendica autorità su tutto il Paese.

Nei giorni scorsi, Saleh ha avanzato una proposta di forza: ha dichiarato illegittimo il governo di Dabaiba e l’Alto consiglio di Stato, organo consultivo istituito dagli accordi di Skhirat del 2015 e attualmente guidato da Mohamad Takala, che ha sostituito Khaled al Mishri. Mossa muscolare per intestarsi il processo successivo, che dovrebbe portare all’istituzione di quel governo terzo di cui si discute da mesi. Serve uno sbocco per superare lo stallo, per andare oltre Dabaiba e per trovare un nuovo equilibrio? “Il rischio è che si riaprano gli scontri, anche se onestamente credo e spero che questa spinta irrazionale sia la più improbabile, e magari si riuscirà a trovare una buonuscita per Dabaiba, e un accordo tra Saleh e i leader politici dell’Ovest come Misrhi, per la costruzione di un nuovo governo di stabilizzazione che possa portare davvero alle elezioni”, spiega Mezran, che aggiunge di voler essere ottimista, sebbene la sua esperienza sulle dinamiche libiche sia sinonimo di consapevolezza su tutti i problemi del Paese.

La situazione attuale vede un indebolimento di Dabaiba che potrebbe essere definitivo. Non a caso, la manovra politica di Saleh arriva in concomitanza con la crisi dei rapporti tra il primo ministro di Tripoli e la Banca centrale libica (CBL) e in contemporanea a nuovi movimenti militari delle forze di Haftar nel sud-ovest del Paese. Con ordine: la CBL, presieduta da Sadiq el Kabir, ha tagliato i finanziamenti al Gnu di Dabaiba, che invece ha fondamentale bisogno di soldi per gestire l’equilibrio delle milizie tripoline e tripolitane che lo sostengono – gruppi paramilitari che danno appoggio a Dabaiba ma si muovono in sostanza come clan mafiosi, in alcuni casi anche pronti a cambiare sponda se dovesse essere più convivente per i propri interessi.

La frattura tra el Kabir e Dabaiba non è questione momentanea, ma dura da oltre un anno più o meno sotto la superficie. La sua emersione pubblica è frutto del momento cinetico contro il primo ministro. Per altro, mentre Dabaiba ha cercato invano di trovare un ponte con Haftar, el Kabir potrebbe averlo trovato. L’avvicinamento – dopo lo sblocco di alcuni pagamenti dovuti alla Cirenaica – con il capo miliziano di Bengasi rende il presidente della CBL politicamente più forte, e l’uomo forte dell’Est ha approfittato della situazione per esprimere pubblicamente il suo ringraziamento e la sua fiducia in el Kabir e nell’istituzione che rappresenta – dopo che nell’ultimo decennio ci sono stati scontri, insulti, minacce tra i due.

L’azione di Haftar è un’altra delle componenti dei problemi attorno a Dabaiba. Nei giorni scorsi, le truppe della Libyan National Army, la milizia di famiglia degli Haftar, guidate dal figlio del leader Saddam Haftar, hanno avanzato verso Ghadames, una città sud-occidentale dal valore strategica posta al confine con Algeria e Tunisia. Per giustificare questa operazione militare, Haftar ha sostenuto che l’obiettivo sia combattere il traffico di droga e di esseri umani che attraversa Ghadames e le aree circostanti. Haftar non si è fermato tanto per la mobilitazione minacciata dalle milizie della Tripolitania, quanto perché l’Algeria ha posto un aut aut – e il capo miliziano della Cirenaica sa che non può muoversi contro le volontà di Algeri, visto che il Paese è anch’esso sostenuto dalla Russia e Mosca non intende dover dividere un proxy da uno stato amico.

Il tentativo di Haftar di conquistare Tripoli, iniziato nell’aprile 2019, con l’obiettivo di diventare il nuovo rais della Libia, è fallito nell’ottobre 2020, grazie anche all’intervento militare turco a difesa del governo sostenuto dalle Nazioni Unite. Questo ha portato a una fragile pacificazione, sufficiente a mantenere uno status quo instabile. Tuttavia, scontri minori sono continuati, principalmente come dimostrazioni di forza per il controllo delle principali istituzioni, come la Banca centrale, la compagnia petrolifera nazionale NOC e i pozzi petroliferi gestiti da società internazionali. “In questi quattro anni, il Paese è rimasto sostanzialmente in stallo, portando alla situazione critica che vediamo oggi,” aggiunge Mezran.

Alla luce della complessità della situazione, sembra improbabile che la comunità internazionale possa limitarsi, come indicato dalla missione di supporto delle Nazioni Unite (UNSMIL), a monitorare “con preoccupazione le recenti mobilitazioni di forze militari in varie parti della Libia”. L’UNSMIL ha invocato responsabilità, chiedendo a tutte le parti di “esercitare la massima moderazione ed evitare qualsiasi azione militare provocatoria che potrebbe essere percepita come offensiva”. Anche la delegazione dell’Ue per la Libia ha espresso una posizione simile. Tuttavia, ci si chiede se queste prese di posizione siano sufficienti per affrontare la crisi in corso.

“C’è un vecchio detto libico che dice: chi controlla i cordini della borsa controlla il Paese, ed è per questo chiaro che attualmente lo scontro principale è attorno alla CBL. È là che si gioca il destino del Paese, e da accordi e dinamiche della Banca potrebbero dipendere le sorti della Libia”, dice l’esperto del think tank di Washington. Anche per questo gli Stati Uniti hanno espresso pieno sostegno a el Kabir, e lo stesso sta facendo da tempo la Turchia. Per Mezran, tuttavia, c’è un passaggio precedente che vede coinvolte gli attori internazionali: Usa e potenze europee dovrebbero capire che per parlare con tutti in Libia serve seguire un protocollo, per questo dovrebbero sponsorizzare un processo diplomatico condotto da Turchia ed Egitto – da sempre sostenitore delle istanze della Cirenaica, regionale libica di fatto interna alla catena del valore egiziano.

Qua trova spazio anche la necessità di limitare la presenza strategica russa. Mosca usa Haftar e la Libia orientale come piattaforma logistica per la diffusione africana e il mantenimento delle attività dell’Afrika Corp. Il rischio di tali attività è preoccupante, come reso evidente per esempio dalla scoperta di droni cinesi diretti in Cirenaica, fermati a Gioia Tauro grazie alle operazioni diplomatiche e di sicurezza italiane, sostenute dalla condivisione di intelligence tra Roma e Washington: “Le armi cinesi sono state affidate a Haftar, che non ha mandato di utilizzarle ma di custodirle per eventuali altri usi”, spiegava a luglio Mezran, commentando la vicenda.

Anche alla luce di queste dinamiche, “soprattutto l’Italia – aggiunge adesso l’esperto – dovrebbe veramente spingere per arrivare a un accordo quadro sulla Libia tra Ankara e Il Cairo, appoggiando l’iniziativa di Agila Saleh per sostituire Dabaiba, e poi iniziare a lavorare su cose specifiche come la ristrutturazione della CBL e l’effettiva ripartenza della Noc. Su questo Roma troverebbe anche l’appoggio diplomatico pieno di Washington, perché tale processo potrebbe essere utile a escludere la Russia dalle dinamiche libiche, dando qualche spazio, seppure obtorto collo, ad Haftar”.



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