Quando il premier sottolinea che “il Piano Mattei è un piano di respiro nazionale, immaginato come un piano strategico che dovrebbe andare oltre anche la durata di questo governo”, mette l’accento sulla possibilità che ha l’opposizione di considerarlo come un’occasione di sforzo comune
Lo ha scritto Goethe che è necessario unirsi, non per stare uniti, ma per fare qualcosa insieme. Assunto in cui si può trovare buona linfa per costruire politiche e Nazioni. Il caso italico (ma non solo) ne è un esempio, tarato essenzialmente sulla politica estera.
Lo ha ricordato, al termine dell’ultimo Consiglio del ministri, il premier quando, a proposito del Piano Mattei, ha richiamato il concetto di azione strutturata: insomma di “un piano strategico che dovrebbe andare oltre anche la durata di questo governo”.
Perché mettere l’accento con veemenza su quello strumento e su quel modus operandi? Non sfuggirà che il momento attuale, nel panorama internazionale, non solo è altamente critico ma anche gravido di potenziali nuovi fronti di crisi. Alle due guerre in corso (Kiev e Gaza) si sommano, come è noto, la tensione nel mare cinese, gli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso, il disequilibrio nel continente africano alle prese con golpe e penetrazioni esterne, la partita delle terre rare, le sfide diversificate dell’intelligenza artificiale.
Come si inserisce, dunque, in tutto ciò la profondità strategica del Piano Mattei (dopo il vertice Italia-Africa)? Giorgia Meloni ha parlato di un piano inviato a fine luglio in Parlamento per ricevere i pareri delle Commissioni competenti.
“Il Piano Mattei è un piano di respiro nazionale, che risponde al nostro interesse nazionale di creare un nuovo modello di sviluppo e partenariato con l’Africa, e restituire all’Italia la centralità che storicamente le è propria nel Mediterraneo – ha detto il premier ai suoi ministri – Ma è immaginato come un piano strategico che dovrebbe andare oltre anche la durata di questo governo. E per questo mi auguro che sia considerato così da tutti, a partire dalle forze politiche che oggi sono all’opposizione e che finora, secondo me, hanno avuto su questa vicenda una chiusura pregiudiziale. Lo abbiamo condiviso con il Parlamento proprio per ascoltare anche le opposizioni e sperare che almeno su questo si potesse lavorare tutti insieme. Finora non è accaduto ma spero ancora possa accadere in futuro”.
Il riferimento, dunque, è alla maturità politica che porta due “pangee” a trovare un percorso comune, sull’altare del più volte citato interesse nazionale che, mai come in questo caso, si ritrova nelle politiche extra confini nazionali.
Non è un’iperbole immaginare, con sano realismo, che un differente approccio all’Africa caratterizzato da una visione non predatoria possa, da un lato, rappresentare un investimento pluriennale in loco e, dall’altro, consentire all’area euromediterranea di essere interlocutore presente e non stanziale.
Il presidente del Consiglio ha lanciato l’amo al campo largo, manifestando l’auspicio che su alcuni punti strategici, com’è la politica estera, “ci possa essere la più ampia condivisione e si possano superare quegli steccati di parte che, per troppo spesso in passato, hanno impedito all’Italia di perseguire il proprio interesse nazionale con l’unità e la coesione che sono necessari”.
Alla maturità partitica italiana, adesso, la risposta.