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No, il secolo americano non è finito. Parola di Joseph Nye

Secondo il politologo statunitense, Washington e l’Occidente non sono destinati a cedere il passo alla Cina. Il “secolo americano” andrà avanti, anche se con forme diverse

“Moderatamente ottimista”. Questa è la risposta data da Joseph Nye, politologo di fama mondiale e colonna portante della corrente del neoliberalismo all’interno della dottrina delle relazioni internazionali, alla domanda su come vedesse il futuro degli Stati Uniti d’America. Rebus sic stantibus, per Nye la posizione di cui godono gli Stati Uniti è una di vantaggio, e anche se la Cina sembra avvicinarsi, è ben lontana dal colmare il divario ancora esistente.

D’altronde è lo stesso politologo a scrivere un articolo, pubblicato dall’Atlantic Council, che si intitola “Pensate che il secolo americano sia finito? Pensateci di nuovo”, dentro al quale viene difesa la tesi che la fase storica, iniziata pienamente con la seconda guerra mondiale anche se alcuni prodromi sono rintracciabili già nei decenni precedenti, caratterizzata dall’egemonia statunitense sia tutt’altro che destinata a concludersi nel breve termine.

Nonostante gli Stati Uniti mantengano ad oggi sia il primato militare che quello economico, la rapida (e relativamente recente) ascesa della Cina al rango di “competitor quasi alla pari” ha suscitato dubbi sulla capacità di Washington di mantenere la sua preminenza. Secondo Nye, Washington continuerà a mantenere il suo primato, che però assumerà una forma diversa rispetto al passato; e per quanto riguarda l’ascesa cinese, anziché puntare il dito contro il superamento di Washington da parte di Pechino, Nye vede la problematica centrale nel fatto che la diffusione del potere (in chiave bipolare e/o multipolare) produrrà entropia, “ovvero l’incapacità di fare qualcosa”.

Inoltre, Nye individua cinque grandi vantaggi di cui gli Stati Uniti dispongono rispetto alla Repubblica Popolare. A partire dalla geografia: gli Stati Uniti sono circondati da due oceani e due vicini amichevoli, mentre la Cina condivide un confine con altri quattordici Paesi ed è coinvolta in dispute territoriali con diversi di essi. Segue un vantaggio energetico, con gli Usa che sono autosufficienti mentre la Cina dipende dalle importazioni di energia. Terzo, gli Stati Uniti derivano potere dalle sue grandi istituzioni finanziarie transnazionali e dal ruolo internazionale del dollaro. Una valuta di riserva credibile dipende dalla sua libera convertibilità, così come da mercati di capitali profondi e dallo stato di diritto, di cui la Cina è priva, nonostante dichiarazioni di sorta. Il quarto è un vantaggio relativo, e riguarda la demografia: gli Usa sono l’unico grande paese sviluppato che si prevede attualmente manterrà il suo posto (terzo) nella classifica della popolazione mondiale. Sette delle quindici maggiori economie mondiali avranno una forza lavoro in calo nel prossimo decennio, ma si prevede che la forza lavoro statunitense aumenterà, mentre quella cinese avrebbe raggiunto il picco nel 2014. Infine, gli Stati Uniti sono stati in prima linea nelle nuove tecnologie importanti (bio, nano e informazione). Anche la Cina, ovviamente, sta investendo molto in ricerca e sviluppo e ottiene buoni risultati nel numero di brevetti, ma secondo i suoi stessi parametri le sue università di ricerca sono ancora dietro quelle statunitensi.

La situazione è quindi tutt’altro che negativa. “Ma se gli americani soccombono all’isteria per l’ascesa della Cina o alla compiacenza per il suo ‘picco’, potrebbero giocare male le loro carte” portando al realizzarsi di un conflitto con la presunta minaccia esitenziale, ammonisce l’autore. Che poi prosegue, specificando che la sua preoccupazione maggiore, tuttavia, non sia legata alla politica estera, ma “Riguarda il cambiamento interno e cosa potrebbe succedere al ‘soft power’ degli Stati Uniti e al futuro del secolo americano. Anche se il suo potere esterno rimane dominante, un paese può perdere la sua virtù interna e l’attrattiva per gli altri. […] La polarizzazione politica è un problema e la vita civica sta diventando più complessa. La tecnologia sta creando un’enorme gamma di opportunità e rischi che i miei nipoti affronteranno mentre affrontano l’Internet delle cose, l’intelligenza artificiale, i big data, l’apprendimento automatico, i deep fake e i bot generativi, per citarne solo alcuni. E sfide ancora più grandi si avvicinano dai regni della biotecnologia, per non parlare della gestione del cambiamento climatico. Alcuni storici hanno paragonato il flusso di idee e connessioni odierno al tumulto del Rinascimento e della Riforma di cinque secoli fa, ma su scala molto più ampia. E quelle ere furono seguite dalla Guerra dei Trent’anni, che uccise un terzo della popolazione della Germania. Oggi, il mondo è più ricco e rischioso che mai”.

Il futuro è quindi incerto. Anche se non mancano i rischi per una catastrofe globale, la situazione sembra essere ancora gestibile. A partire dal ruolo degli Stati Uniti, e dell’Occidente in generale, nel nuovo sistema internazionale che lentamente sta prendendo forma in questi anni.

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