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Per costruire il Campo largo dobbiamo muoverci ora. La versione di Giro

Quindi basta veti, anche se possono sembrare giustificati: urge aprire un cantiere serio che impegni tutti in profondità. È un lavoro lungo e difficile: meglio allora iniziarlo prima. Il commento di Mario Giro

Il dibattito sul cosiddetto Campo largo (ma si può chiamare anche in altro modo) ferve attorno alla questione dei veti. Chi ancora ne pone nel centrosinistra attuale, come AVS (ma pare si tratti solo di una parte di essa), nei confronti di Matteo Renzi e di Italia Viva forse non ricorda che la propria coalizione non vince un’elezione sul campo da decenni. I governi di altro tipo a cui il Pd o altri hanno partecipato non contano in questo stadio di costruzione. “Perdere per non perdersi” è un’impostazione ideologica invecchiata e non rappresenta più un’opzione di questa fase politica, come sa bene Elly Schlein. Occorre altresì imparare dalla destra che sa fare coalizione molto meglio e in maniera più solida senza che ciò significhi avere le medesime idee su tutto, come si vede. La stessa cosa deve avvenire dall’altro lato dello schieramento politico, invece che frammentarsi.

Al posto di porre veti, prenderei sul serio la proposta di Matteo Renzi: facciamo una necessaria (anche lunga) negoziazione sul programma, alla maniera dei tedeschi. La politica non può essere improvvisazione ma compromesso costruito con pazienza e fuori da tentazioni emotive. Se qualcuno ha ancora dei sospetti sulla fedeltà dell’uno o dell’altro, è preda di un approccio “sentimentale” alla politica, molto in voga oggi ma poco produttivo. Allearsi non vuol dire avere le stesse idee ma trovare un comune denominatore per affrontare con qualche possibilità di successo gli elettori. Occorre per questo elaborare un messaggio convincente per una larga fascia di cittadini: ogni posizione estremizzata è dunque da smussare o da comporre con altre posizioni.

La polarizzazione del corpo elettorale non toglie il fatto che le elezioni si vincono riuscendo allo stesso tempo a mantenere i propri elettori fidelizzati ma anche (e qui il “ma anche” ci sta tutto) ad attrarre quanti più elettori moderati o poco schierati possibili, meglio ancora se astensionisti. Ciò vale soprattutto per il centrosinistra che ha la fama (purtroppo meritata) di essere diviso e molto litigioso, più del centrodestra. Direi che non si tratta di centrismo nel vecchio senso della parola ma di parlare agli elettori che sono disponibili a cambiare schieramento in presenza di un piano convincente per l’Italia. Lo abbiamo già sperimentato nel 2014 ma occorre tener sempre conto del fatto che questo tipo di elettori non firma mai cambiali in bianco e per lungo tempo.

Come sappiamo ciò che emerge come molto pericoloso in questi ultimi anni è il tentativo di dividere l’Italia: dal punto di vista sociale, sanitario, amministrativo e financo istituzionale. L’altro elemento grave è la sfida alla democrazia parlamentare e ad altre parti importanti della nostra convivenza civile nazionale, come l’indipendenza della magistratura e la libertà di stampa. Tali due derive sono sufficientemente pericolose perché sia data loro assoluta priorità mettendo da parte le legittime impostazioni ideologiche dei vari componenti di una possibile coalizione.

I dubbi del Movimento 5 Stelle sono da prendere maggiormente in conto perché si tratta di un partito che mai è stato alleato con il centrosinistra. È una “prima” che ci sfida tutti e che costringe ad un impegno supplementare di riflessione e di trattativa. Ma anche in questo caso è necessaria molta moderazione nell’approccio affinché si evitino veti preventivi, magari dovuti a strascichi della storia di ieri.

Tutto ha un peso ed è noto quanto la memoria possa dividere. Nondimeno i tempi cambiano e il momento attuale spinge verso l’unità di tutte le forze che hanno a cuore la democrazia e l’unità d’Italia. Non farlo sarebbe tradire chi ha costruito l’Italia repubblicana dal dopoguerra ad oggi. A quanti dicono che per il paese servirebbe “ben altro” che tali battaglie “costituzionali”, è bene rammentare che senza queste due condizioni di base e di partenza, nient’altro sarà possibile fare o ottenere. Con una democrazia al guinzaglio e un paese diviso crescerebbero soltanto rancore e risentimento e non si avrebbe nessuno sviluppo né alcun aggiustamento del bilancio dello stato; nessuna crescita manifatturiera né alcuna equità sociale; nessuna rivoluzione verde né alcun mercato del lavoro efficiente.

Quindi basta veti, anche se possono sembrare giustificati: urge aprire un cantiere serio che impegni tutti in profondità. È un lavoro lungo e difficile: meglio allora iniziarlo prima.



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