Tra un aneddoto e un’analisi numerica, l’economista Carlo Cottarelli nel suo “Dentro il palazzo” (Mondadori), ripercorre alcuni episodi a cui ha assistito durante i suoi otto mesi da senatore tra le file del Partito democratico dal quale, dopo l’affermazione della segreteria Schlein, è uscito. L’astensionismo crescente, la necessità di superare il bicameralismo e di regolamentare le lobby. Usa 2024? Harris può farcela
Gli aneddoti in politica servono spesso come espedienti per edulcorare situazioni piuttosto amare da descrivere con piglio serioso. Carlo Cottarelli, che politico è stato solo per otto mesi (in Senato, in quota Pd), ne ha utilizzati diversi di aneddoti per raccontare la sua esperienza e per tratteggiare alcune storture della nostra democrazia parlamentare. Il suo “Dentro il palazzo: cosa accade davvero nelle stanze del potere“ (Mondadori), è un condensato di serietà e di amara ironia. Invitato a una delle storiche feste de L’Unità del basso Polesine – quella di Zampine di Stienta, (nonostante sia fuoriuscito dal Pd, ha accettato l’invito di buon grado) – l’economista ha parlato con Formiche.net del suo ultimo libro, spaziando anche sui temi più cogenti della cronaca politica nazionale e internazionale.
Professor Cottarelli, fra i tanti fenomeni che descrive nel libro, tratteggia con grande precisione quello dell’astensionismo. Tra i fattori che lo determinano lei indica, tra gli altri, la frequenza delle elezioni. Perché?
Troppi appuntamenti elettorali, l’uno di seguito all’altro entro un arco temporale breve, generano disaffezione delle persone alla politica. Si alimenta la convinzione che l’espressione del voto democratico conti poco o nulla. E di questo ne ho avuto prova direttamente nel corso della campagna elettorale che ho svolto in prima persona. Il fatto che siano state tolte le preferenze è un altro dei fattori che senza dubbio incide e corrobora la disaffezione dell’elettorato e, da ultimo, il fatto che dal punto di vista della capacità di valore d’acquisto, i redditi degli italiani siano rimasti gli stessi dal 1999 al 2019, è un altro dei fattori che contribuisce alla diserzione delle urne.
Fra i proponimenti della riforma istituzionale – il “premierato” – c’è quello di dare maggiore stabilità agli esecutivi. Eppure lei è molto critico.
Sì, sono molto critico perché temo l’eccesso opposto. Mi preoccupa l’idea di concentrare il potere nelle mani del solo presidente del Consiglio. E, parallelamente, mi preoccupa che Parlamento e Presidente della Repubblica possano essere svuotati dai loro ruoli. Chi ha troppo potere tende a montarsi la testa. Già, come peraltro scrivo nel testo, il Parlamento non gode di ottima salute in questo frangente.
Superamento del Bicameralismo, regolamentazione delle lobby e indicazione della copertura finanziaria per sostenere le proposte avanzate in campagna elettorale. Perché ritene questi punti prioritari?
L’indicazione della posta di bilancio da cui attingere le risorse per sostenere una proposta è materia dell’unica mia proposta di legge. Mi sembra una cosa di assoluto buon senso: aiuterebbe a ridurre inutili promesse elettorali del tutto irrealizzabili all’atto pratico. Sulle lobby è presto detto. Penso siano state ottanta le proposte di legge – tutte naufragate, ultima compresa – per regolamentare le lobby. Sarebbe un vantaggio per tutti, tanto più che è normale che i portatori di interesse incontrino i politici. D’altra parte però questa attività andrebbe regolata e resa il più trasparente possibile. Il Bicameralismo è evidente da tempo che non abbia più senso: le due Camere fanno le stesse cose nella sostanza, per cui con una sola sarebbe tutto più snello e funzionale.
Era il 2018. Domenica tarda mattinata. Lei era in procinto di mangiare un parco piatto di lenticchie. Poi, la telefonata di Mattarella che le chiese di formare il governo.
Sì, inizialmente pensai a uno scherzo de La Zanzara. Poi, sentii la voce del presidente e in effetti era davvero lui che mi chiamava al Colle per formare un governo tecnico per traghettare il Paese verso nuove elezioni. Tutto ciò che accadde dopo è storia nota. Fu buffa la telefonata a mia moglie: le dissi che Mattarella mi aveva chiamato per formare il governo e, dopo qualche istante di silenzio, mi manifestò la sua preoccupazione per l’esito delle vacanza estive. Poi il governo non si fece e riuscì a salvare anche le vacanze.
Lei è uscito in polemica con il Pd, dopo aver fatto la campagna congressuale a favore di Bonaccini (sconfitto da Elly Schlein). Come la vede la mossa di Renzi di riavvicinarsi al campo largo?
Non so che esito avrà questa operazione di riavvicinamento. Però Renzi, con un partito che ha poco più del 2% nei sondaggi, riesce sempre a conquistare le prime pagine dei giornali, a far parlare di sé e a creare scompiglio negli assetti politici.
Ora che gli assetti europei sono più o meno definiti, incombe la variabile delle elezioni statunitensi. Come valuta la situazione?
In Europa il rischio di un eccessivo scivolamento a destra sia stato scongiurato, benché le formazioni di destra siano uscite rafforzate dalle urne. Tuttavia la maggioranza resta quella di prima, Ursula è stata confermata, la scelta di Macron si è dimostrata vincente e gli equilibri sono più o meno stabili. In Usa i dem, dopo il ritiro di Biden e la discesa in campo di Harris si mostrano senz’altro più competitivi. La speranza è che ce la possa fare e che tra i primi punti in agenda individui un intervento per ridurre i tassi di interesse per dare ulteriore impulso all’economia americana che comunque resta abbastanza florida.