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Produrre di più e velocemente. L’invito (e i fondi) dello US Army

L’Esercito degli Stati Uniti ha bisogno di rinfoltire i propri arsenali e di prepararsi alle sfide del futuro con equipaggiamenti tecnologici e in numeri sufficienti da sostenere una crisi (o una guerra) prolungata. Per far questo ha bisogno che l’industria aumenti la sua capacità produttiva, ed è pronto a investire

Aumentare la produzione, accelerare le acquisizioni e supportare le necessità di approvvigionamento delle Forze armate per i prossimi anni. Sono questi gli obiettivi che il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti sta perseguendo ormai da qualche anno. Una necessità derivata non soltanto dall’esigenza di rinfoltire gli arsenali intaccati dagli aiuti inviati all’Ucraina, ma anche dalla percezione che la sfida globale del futuro richiederà delle forze militari all’altezza sia nella qualità, sia nella quantità dei propri equipaggiamenti.

L’esigenza di aumentare i tassi di produzione dei sistemi d’arma coinvolge naturalmente da un lato l’industria, ma vede coinvolta allo stesso modo la stessa organizzazione militare. L’Esercito degli Stati Uniti, infatti, ha lanciato uno sforzo di modernizzazione della sua Base industriale organica (Organic industrial base, Oib), vale a dire la ventina di siti di produzione, gli arsenali e i depositi di manutenzione posseduti dal governo Usa e direttamente alle dipendenze della Forza armate sparse per il territorio statunitense. Un progetto di quindici anni che prevede di riceve un’accelerazione significativa dal prossimo anno fiscale, con un gettito di fondi stimano tra i 75 e i cento milioni di dollari di investimenti per potenziare le infrastrutture e le capacità della Oib. Con oltre cinquecento iniziative diffuse sull’intera Base industriale, il progetto nel suo complesso varrà circa 18 miliardi di dollari, con l’obiettivo di rendere gli impianti di produzione e assemblaggio più efficienti e rapidi, integrando al loro interno le nuove tecnologie della robotica e dell’intelligenza artificiale.

Ma accanto a questo sforzo condotto principalmente dallo US Army, il Pentagono vuole che anche i privati facciano la loro parte. Secondo i dati del dipartimento, gli Usa hanno spedito in Ucraina oltre tre milioni di proiettili, diecimila Javelin, duemila stinger, quattrocento veicoli da combattimento tra Bradley e Stryker e circa duecento obici da 155 millimetri. Un impegno da quasi 55 miliardi di dollari e mezzo. Tutto questo ora deve essere recuperato e innovato, ma sebbene le aziende del settore abbiano investito nelle proprie capacità produttive, migliorano delle strutture manifatturiere, la loro velocità non corrisponde alle esigenze di rifornimento delle Forze armate a stelle e strisce.

A un recente incontro con l’industria di settore, infatti, il comandante del Tank-automotive and Armaments Command (Tacom), l’ente che dirige l’Oib, generale Michael Lalor, è stato netto con i rappresentanti delle aziende: “Il tempo del Covid è finito. Ora è tempo di consegnare, produrre e raggiungere gli impegni presi”. Per questo obiettivo, però, i militari sono pronti a investire, e molto. Secondo il Tacom, infatti, sarebbero pronti fondi fino a sei miliardi di dollari di autorizzazioni. Il problema è che l’industria non riesce a rispondere abbastanza velocemente per poter investire questi fondi. “Se l’industria è pronta a fare di più, trovando il modo di produrre più velocemente” ha detto il generale Glenn Dean, program executive officer for Ground Combat Vehicles, “sono pronto a far arrivare i camion e scaricare i soldi nei vostri parcheggi”.


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